Voto

7

Esiste un antidoto al grigiore del mondo, alla disumanizzazione e al cinismo dilaganti se non ormai imperanti? Vi presento Toni Erdmann è una risposta di quasi tre ore che diluisce sul grande schermo la soluzione già suggerita da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane del lontano 1985.

Personificazione della risposta è il protagonista Winfried/Toni Erdmann (Peter Simonishek), che irrompe con affettuosa violenza nella vita della figlia Ines (Sandra Hüller), cinica e stressata donna in carriera. E gli spettatori fanno lo stesso attraverso lo sguardo timidamente vacillante della camera a mano, che osserva la vicenda con un voyeuristico connubio di timore e attrazione, senza mai avvicinarsi troppo ai personaggi né perderli di vista.

La presenza silente di Toni Erdmann, inizialmente ignorata e respinta da Ines, riesce progressivamente a scalfire la donna fino a smuoverla: i lunghi silenzi – a tratti insostenibili e ingiustificati – e l’impossibilità di instaurare un dialogo vengono sostituiti da gesti e sguardi complici, unica comunicazione possibile tra loro. Ines non può fare altro che abbandonarsi all’assurdità della leggerezza del padre, che per analogia fa emergere l’assurdità dell’alienazione del mondo in cui lei lavora e del modo in cui vive.

Ma la confezione formale del film ne rende la fruizione piuttosto faticosa. Lo stile grezzo, che cerca invano di conferire alla pellicola un’impronta autoriale, unito a un minutaggio eccessivo, a un humor malinconico e grottesco difficile da digerire, a elementi eccessivi e sgangherati e a scene implausibili o inutili rende difficile apprezzare appieno il soggetto. E il finale – quello sì, esilarante – sembra non arrivare mai.

Benedetta Pini