The Nightingale, Jennifer Kent | Concorso Venezia 75

The Nightingale è un film che non funziona. Non funziona la sceneggiatura, che vorrebbe costruire un rape and revenge movie dal sapore western ambientato nell’Australia colonizzata dagli inglesi e sfocia invece in una narrazione con lacune inverosimili e incongruenze ridicole: l’inseguimento tra i personaggi avviene in una foresta descritta da tutti come pericolosissima e labirintica, ma tutti continuano a incontrarsi e nessuno si imbatte mai in alcun reale pericolo (come ostacoli naturali o animali feroci). Non funzionano i personaggi né le dinamiche tra di loro: la protagonista, dopo essere stata stuprata molteplici volte di fronte agli occhi del marito inerme e aver assistito all’uccisione di lui e della loro bambina, si lancia alle calcagna di chi le ha tolto tutto ciò che aveva, accompagnata da un aborigeno nero che, come lei, ha perso tutto. I due si avvicinano sempre di più, uniti da un’esperienza di vita ugualmente tragica, ma senza rompere mai quella barriera che divide loro e la società al suo interno – al massimo si prendono per mano; un rapporto sterile e politicamente codardo. La stessa sete di vendetta della protagonista, che all’inizio sembra incontenibile, si spegne sempre di più e si trasforma in una vigliaccheria patetica. Non funziona il sottotesto: la sete di vendetta sembra l’unica cosa che conti, come se davvero potesse compensare la tragedia subita dalla protagonista; che viene descritta da Kent con un compiacimento voyeuristico disturbante in modo gratuito.

Acusada – The Accused, Gonzalo Tobal | Concorso Venezia 75

Una suspance creata con il più classico degli schemi: si sa già chi è il colpevole, ma non si sa di che cosa. Anzi, forse non è neanche davvero colpevole. Dolores (Lali Espósito) è una ragazza acqua e sapone come tante altre che si trova coinvolta in un caso dalla portata nazionale, con tutto lo spietato linciaggio mediatico che ne consegue. Per quanto Tobal rappresenti bene la situazione in cui Dolores si trova, l’importanza di ciò che le persone pensano a prescindere dai fatti, l’influenza della comunicazione durante un processo giudiziario e di come le dinamiche familiari vengano sconvolte da un dramma così soffocante e difficile da gestire, si tratta di una storia già vista e rivista sul grande – e anche sul piccolo – schermo e con risultati di migliore qualità di scrittura e regia.

22 July, Paul Greengrass | Concorso Venezia 75

Dopo Dark Night  a sua volta debitore di Elephant  chiunque dovrà confrontarsi con Tim Sutton se vorrà affrontare il tema delle armi e della follia omicida che può esplodere in qualsiasi momento. Il 22 luglio, però, rimanda anche a quell’ondata di estremismo di destra come reazione alla crisi economica e al multiculturalismo che da quel momento ha messo in ginocchio tutto il sistema democratico europeo. Greengrass sceglie di costruire un film lineare, che racconta velocemente la strage – privando il film di molta suspense – e si sofferma invece sulle sue conseguenze, con le reazioni dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime, e sul processo, con la figura purtroppo poco approfondita dell’avvocato difensore dell’assassino e con i discorsi indottrinati e indottrinanti di Breivik. In particolare Greengrass propende per la narrazione televisiva della storia di Viljar Hanssen, uno dei sopravvissuti ora alle prese con una difficile riabilitazione; ma nel tentativo di farne il simbolo di una nazione che soffre, la sceneggiatura si fa troppo didascalica e non suscita alcun coinvolgimento emotivo.

Benedetta Pini