Per riuscire a distinguersi da quel magma ribollente di programmazioni, rassegne e titoli che sono i festival cinematografici di tutto il mondo, le realtà più modeste e indipendenti scelgono spesso di emergere attraverso una specificità particolare, che sia a livello produttivo, tematico o di direzione artistica. Pensiamo ad esempio a iniziative come Corto e Fieno, dedicato a cortometraggi a tema rurale, o anche del Trento Film Festival, la cui particolarità si manifesta nella scelta di selezionare film dedicati a chi le montagne le scala, le esplora e, in generale, le vive. Ma dimenticate i soliti stereotipi legati all’immaginario della montagna e di chi la popola: ciascuno di questi film ha una propria sensibilità profonda e sfaccettata, divulgando un’esperienza condivisibile ed empatica.

All’interno del programma del Trento Film Festival 2022 abbiamo individuato un filone di titoli che trattano il tema della morte e del lutto facendosi emblema dell’universalità di uno stato d’animo capace di travalicare i limiti geografici, culturali e cinematografici e di portare a un mutuo riconoscimento tra individui, pur nella consapevolezza delle reciproche specificità.

Burning Flower, Ho-yeon Won, Corea del Sud, 2021

Al centro del documentario Burning Flower c’è Seonnyu, una donna sulla settantina costretta a intraprendere una nuova strada. In bilico tra gli amati ricordi legati alla sua fattoria e il rifiuto di trasferirsi in una città che dovrebbe rappresentare il futuro, Seonnyu pondera una soluzione in equilibrio tra passato e futuro, con l’obiettivo di relegarsi un presente sereno. Da ogni scelta della protagonista emerge un dolore tacito, solo apparentemente mitigato dal tempo, per la morte del marito, come la promessa che gli aveva fatto di iniziare un corso per imparare a leggere e scrivere. La presenza del marito si rivela così nella voglia di ricominciare di Seonnyu, trasformando così il lutto in una celebrazione silenziosa della vita a della rinascita, come i semi di un soffione depositati dolcemente dal vento.

Scenes from the Glittering World, Delfina Carlota Vazquez, Argentina, Messico, 2021

Scenes from the Glittering World ci porta nell’angolo più remoto della zona dimenticata degli Stati Uniti: la nazione Navajo. Il popolo indigeno locale accusa il governo statunitense di abbandono finanziario, urlando una morte che si manifesta nell’essenza stessa della nazione: una terra morta, sia dal punto di vista pratico, perché arida e poco accogliente, sia sotto l’aspetto culturale, in quanto dimenticata – o peggio, nascosta – dal paese a stelle e strisce che la circoscrive. Questa assenza di vita non costituisce solo uno sfondo: è una costante che pesa sul futuro delle generazioni più giovani, intrappolate nell’invisibilità di una nazione in cui “brillare” è una lotta giornaliera. Senza mai ripiegarsi su un eccesso di drammaticità e mantenendo lo spirito ottimista del popolo Navajo, Scenes form the Glittering World porta i riflettori sulle implicazioni culturali ed emotive di una nazione che, con una cartolina della Monument Valley in mano, tendiamo a dimenticare.

Mendiak 1976, Luis Arrieta Etxeberria, Spagna, 2021

Il lutto è centrale nella narrazione di Mendiak 1976, che in stile Magnolia svela gli inevitabili strasichi che la morte di un alpinista ha inevitabilmente disegnato attorno a sé. La morte, più che un evento fugace, è qui un parassita difficile da levarsi di dosso, anche a distanza di quarant’anni. Si parte da una vicinanza fisica alla morte quasi spaventosa, raccontata da chi ha passato la notte impotente accanto al corpo del defunto. Una morte che si può quasi toccare con mano, e che ha il potere di infettare: quella persona si è tolta la vita alcuni anni più tardi. Seguono i racconti dei familiari della vittima: “Con il tempo, il dolore si trasforma in amore” racconta la madre. Il film si conclude con il racconto dell’amico di penna del defunto, la cui corrispondenza è stata drasticamente interrotta, versando lacrime amare sull’inchiostro. Mendiak 1976 si conclude con una celebrazione delle amicizie create durante il tentativo di soccorso, offrendo una panoramica sul lutto particolarmente genuina e riflettendo sul valore di quei ricordi che ci tengono ancorati al mondo.

Fire of Love, Sara Dosa, United States, Canada, 2022 

Fire of Love, documentario presentato al Sundance Film Festival 2022, si concentra sulla vita di Katia e Maurice Krafft, coppia sposata di vulcanologi, piuttosto che sulla loro morte drammatica. La bizzarra coppia dimostra un’inettitudine universale: vivono per loro stessi, il loro lavoro e l’un l’altro soltanto, in una costante fuga dalla società. Non devono rendere conto a nessuno, e quindi il pubblico non può che osservarli a distanza di sicurezza, invidiando una passione e un legame più unici che rari. Katia ci insegna ad apprezzare le piccole cose, mentre Maurice a vederle da una prospettiva più ampia. Non serve essere vulcanologi per innamorarsi con loro della propria impotenza di fronte allo scorrere del tempo. Fire of Love è una celebrazione della loro vita come coppia e della loro vitalità come singoli, che si è poi assopita nell’unico modo in cui avrebbero potuto sperare: l’uno accanto all’altro, facendo il lavoro che era la loro vita. Gli ipnotizzanti flussi di lava non sono che una metafora dell’ode che questo documentario dedica allo scorrere del tempo e alla necessaria rigenerazione della vita; e non serve essere vulcanologi per innamorarsi con loro della propria impotenza di fronte allo scorrere del tempo.

Lara Ioratti