Voto

7

Mandando in avanguardia la notevole Talking In Tones, i Charlatans avvisano l’ascoltatore: “Stiamo calmi, stiamo mooolto calmi”. Stanno per prodursi in un libero saggio di sofisticheria (nel senso più o meno buono del termine) e hanno bisogno dell’atmosfera giusta.

Comincia dunque Talking In Tones, l’opening track di Modern Nature, il loro primo album dopo cinque anni. Le percussioni fanno l’hula hoop al rallentatore e la chitarra non è in vena di prodezze, ma assesta qualche sventagliata rinfrescante; la voce di Tim Burgess – nell’atmosfera di distensione generale – si sdraia su un soffice tubetto che, mentre il cantato si stira e si sistema, spruzza goccioloni di organo.
La tela che viene schizzata assume delle tinte mogie, ma fondamentalmente stilose, un po’ come quelle del buon vecchio Arc Of A Diver di Steve Winwood: non è l’album a cui ti affidi quando vuoi sentirti vivo, ma quello che ascolti quando vuoi “trattarti bene” senza ricorrere a una voluttà pacchiana.
Se ci fosse un campionato mondiale di coolness nell’ambito del rock alternativo, la successiva So Oh dovrebbe portarsi via una carriola di trofei: è un trionfo celebrato sottovoce, con coretti che vivono in maniera molto compita la propria gaiezza, fiorendo in un arrangiamento che maschera con un garbo infinito la propria insistenza asprigna.
Come On Baby tenta la stessa via e per qualche inesplicabile ragione non raggiunge un esito del tutto paragonabile; sarà il ritornello un po’ melenso? Saranno i coristi gospeleggianti che appaiono come terzi incomodi? Niente di grave, per carità, benché Come On Baby anticipi la tendenza di alcuni dei brani successivi a “non essere malvagi”, senza però riuscire a farsi descrivere se non attraverso qualche triste litote: Keep Enough e In The Tall Grass non sono vivaci e non sono pigre, non sono scialbe e non sono incisive. Quello che veramente sono lo si può leggere pian piano tra gli anfratti dei loro esperti arrangiamenti (le infiltrazioni di violino in Keep Enough sono colpetti da maestro), ma naturalmente non è scontato che s’abbia la voglia di farlo.
Con Emilie l’album ingrana nuovamente: dopo questa corsetta felpata assistita da uno sfarfallio percussionistico, arriva Let The Good Times Be Never Ending che si fa perdonare delle evoluzioni melodiche troppo sentimentali con un abilissimo gioco di squadra tra cori ululanti, fiati gutturali, batteria inesauribile, chitarra miniaturista e tastiere gongolanti.
I Need You To Know e Lean In
regalano un quantum di drammaticità all’album e tutta la teatralità che manca alla voce di Burgess la forniscono il solito frullante organo di Tony Rogers e la costante chitarra di Mark Collins. L’eroismo misurato e minuzioso di questi due strumenti dà vita anche a Trouble Understanding, che altrimenti finirebbe a sua volta nel mucchio dei brani “sì, okay, ma io vorrei qualcosina di più”.

Il tessuto di Lot To Say è ancora una volta leggero e ancora una volta frutto di mani esperte, la cui abilità si verifica in finiture che fanno dire ai sarti più trascurati “ma questi come ci sono arrivati?”.
Beh, i Charlatans non hanno niente da nascondere: gli uomini di buona volontà si armino di lente di ingrandimento ed esaminino Modern Nature ricamo per ricamo. Buono studio!

Andrea Lohengrin Meroni