1. “L’universo vuole prendersi gioco di me, e io mi rifiuto di giocare”

Nadia (Natasha Lyonne) è precipitata in un loop inspiegabile che la porta a morire ripetutamente e risvegliarsi ogni volta nel bel mezzo della festa del suo 36esimo compleanno. Un canovaccio già visto, sin dai tempi di Ricomincio da capo (1993) con Bill Murray costretto a rivivere continuamente una festività così inutile come il Giorno della Marmotta, e poi spremuto fino alle ultime gocce da un’infinità di altri film e serie TV (tra gli ultimi, Auguri per la tua morte). Russian Doll si inserisce nel filone ma si avvia lungo una strada tutta sua. Inizialmente Nadia si abbandona alla passività di fronte alla situazione, giocando di rinascita in rinascita con la propria vita e le persone con cui interagisce, tra droghe, orge e apatica autodistruzione. Negli altri film dello stesso genere la situazione di solito si risolveva grazie alla scoperta del vero amore, all’intervento di qualcuno o a trovate simili, ma per Nadia non funziona così: deve prendere in mano la situazione, capire cosa stia succedendo, essere vigile, cogliere ogni indizio e risolvere l’enigma. Perché sa che una soluzione c’è e sta solo a lei trovarla. È qui che Russian Doll dimostra tutta la sua originalità: Nadia è una programmatrice informatica con una mente brillante, in grado di risolvere problemi e trovare spiegazioni senza alcun aiuto. In realtà qualcuno al suo fianco c’è: Alan (Charlie Barnett), un ragazzo che si trova nella sua stessa situazione, ma sarà più che altro Nadia il motore dell’azione che porterà entrambi verso una sorta di salvezza.

2. Tra finzione e realtà

Uno show interamente ideato, scritto, diretto e prodotto da donne. Dietro a tutto c’è la stessa Natasha Lyonne, che nell’ultimo episodio fa il grande passo e si sposta dall’altra parte della macchina da presa, affiancata da Amy Poehler e dalle due registe Leslye Headland e Jamie Babbit. Proprio come una matrioska – appunto –, Nadia si mette sempre più a nudo di puntata in puntata, lasciando trasparire quanto sia stretto il legame tra lei e l’attrice che la interpreta. Nata a New York da una famiglia ebrea e trasferitasi a Israele da piccola per poi tornare a Manhattan dopo il divorzio dei genitori, Natasha si emancipa a soli 16 anni e si trova a dover affrontare un’adolescenza tormentata, un percorso di studi incostante, una carriera altalenante e una serie di problemi di salute che misero seriamente a rischio la sua vita, con tanto di abuso di alcol e droghe. Tremendamente ebrea, newyorkese, indipendente, autodistruttiva e brutale, ripetutamente a un passo dalla morte e costretta a lavorare su se stessa per riprendere in mano la propria vita. Se non vi fosse ancora chiaro, Nadia è Natasha, e viceversa.

3. “Morire è facile, è vivere che è difficile”

“Un incrocio tra Andrew ‘Dice’ Clay e la rossa protagonista di Ribelle – The Brave“, così Natasha ha definito Nadia. E va inteso come un complimento. Nadia è infatti uno dei personaggi femminili migliori degli ultimi anni: schietta, indipendente, irriverente, autoironica e carismatica, fratturata internamente da fragilità interiori che la rendono ben più complessa sia dello stereotipo della “donna emotivamente debole” sia della “donna con le palle”. Il loop diventa allora un escamotage narrativo che disinnesca tutti i meccanismi difensivi eretti da Nadia per rimandare il confronto con la propria interiorità dilaniata: la sicurezza ostentata, le relazioni disfunzionali, l’autodistruzione, il cinismo, la causticità, l’humour nerissimo, la brutalità, la vita sconclusionata sono solo la patina superficiale di una personalità che sta attraversando una profonda crisi esistenziale. La metafora è chiara ed efficace: uscire dal loop narrativo significa risalire dal baratro di depressione latente in cui è scivolata chissà da quanti anni. E forse solo il trauma per eccellenza, la morte, può davvero scuoterla.

4. “Happyness only real when shared”

In ogni puntata Nadia muore. E per quanto alcune modalità con cui accade siano ridicole, il tono inizialmente leggero cede il passo all’angoscia: potrebbe davvero succedere in ogni momento. Un pensiero che priva Nadia di quei meccanismi di difesa attivati da ogni essere umano per esorcizzare l’unica certezza della vita – ovvero che prima o poi finirà. Come la sua protagonista, Russian Doll è una serie che sotto la superficie vivace e divertente da comedy lascia trasparire un’essenza tragica e malinconica che lentamente corrode la barriera di solitudine studiata e di apatia eretta da Nadia e riflette su un concetto tanto semplice quanto essenziale: il bisogno di condivisione. Una condivisione che sia sana e autentica.

4. One woman show

Nadia è la protagonista indiscussa della serie, circondata da personaggi di contorno che nella prima parte ripetono le stesse battute meccanicamente, di loop in loop, ma nella seconda acquisiscono significato, pur sempre in relazione a Nadia; come l’amica che le fa notare il suo egoismo o l’ex fidanzato ancora innamorato che la costringe a riflettere sulla propria anaffettività costruita. Rimangono pur sempre personaggi di contorno, e lo sono dichiaratamente, eppure si rivelano essenziali, perché senza di loro la riflessione di Nadia su di sé non avrebbe potuto raggiungere picchi così alti di intimità e profondità.

Benedetta Pini