Un presunto boicottaggio politico, un film a tema storico e mamma RAI sullo sfondo. No, non è la sceneggiatura di una nuova fiction domenicale, sono le premesse di Red Land (Rosso Istria), l’ultimo film di Maximiliano Hernando Bruno. La pellicola, presentata nello stand Veneto durante lo scorso Festival di Venezia, è stata distribuita in sole 14 sale e 10 regioni.

150 minuti interminabili. Il film è un mezzo disastro estetico che dalla sua ha, forse, solamente le ottime intenzioni. L’episodio storico di Rosso Istria meriterebbe palcoscenici di prima categoria, ma viene affossato dalla messa in scena da soap opera, dalla cattiva recitazione, dalla sciattezza della scrittura e dalla regia, decapitata da una fotografia degna della copertina di “Grand Hotel”. Gli interpreti, tra cui Selene Grandini, giovane meteora della tv pomeridiana, hanno come unico merito quello di figurare nei titoli di testa insieme Franco Nero.

Come avevamo già scritto per Sulla mia pelle, prima di qualsiasi polemica storica o politica, viene l’opera nella sua totalità, in questo caso un film, con il suo linguaggio specifico e il suo impianto estetico. Nelle ultime settimane, invece, è sorto un acceso dibattito per la ridotta distribuzione del film e testate come “Il Giornale” hanno espresso il loro disappunto, affermando che molte sale non hanno voluto proiettare il film per motivi politici.

La verità sul trattamento riservato al film resta incerta, ma un episodio drammatico e noto come le Foibe non dovrebbe essere più un motivo valido per boicottare un film. Tuttavia in pochi ne hanno parlato, in pochissimi si sono sentiti delusi e la vicenda è scivolata presto nel dimenticatoio. Ci chiediamo allora quali sarebbero state le reazioni popolari se fosse stato un lavoro come Sulla mia pelle a ricevere la stessa considerazione. Ma col senno di poi son piene le fosse. Di fatto, l’unica verità su cui possiamo discutere è la confezione formale del film, che fatica ad arrivare alla sufficienza, e non è un dato così irrilevante.

Fabrizio La Sorsa