1. “Tu vuoi stare meglio e non sai come fare”

Con questa quinta stagione BoJack Horseman ha raggiunto la maggiore età. Dopo 48 episodi di autodistruzione, cinismo e inerzia, è arrivato il momento in cui si ammette di avere un problema. BoJack è sempre BoJack, una persona profondamente depressa, che causa continue sofferenze a se stesso e a chi gli sta intorno, incastrato in un circolo vizioso di sensi di colpa e apatia senza apparenti vie d’uscita. Eppure, in questi 12 episodi qualcosa, lentamente, cambia. E se allo spettatore – ormai da 4 stagioni – verrebbe solo voglia di prendere BoJack per le spalle, strattonarlo e urlargli in faccia di fare qualcosa, qualsiasi cosa, purché non sia piangersi addosso per l’ennesima scelta sbagliata, la serie insegna che non è così semplice. Che la depressione non è così semplice. Che la frustrazione per lo iato tra aspettative e realtà fa parte del gioco. Che bisogna imparare a dare e darsi tempo – e non a caso la produzione della serie nella serie Philbert è affidata a whattimeisitrightnow.com.

2. “Non so più cosa sia reale, e non so se mi interessa”

Philbert è la serie nella serie, e non è altro che una superficie su cui l’intera BoJack Horseman si specchia, si guarda dall’esterno e riflette su di sé. E così tutti i personaggi, soprattutto BoJack, soprattutto rispetto al passato, soprattutto in Churro Gratis, l’episodio madre della serie. La sceneggiatura di Philbert porta a galla gli eventi traumatici che hanno contribuito a gettare il protagonista nel baratro e lo costringe a rimetterli in scena, a riviverli e affrontarli. Una catarsi obbligata e violenta, che mischiata agli psicofarmaci avrà effetti devastanti e culminerà nell’episodio 5 Crisi nella serie, dove realtà e finzione si mischiano, si scambiano, l’una straborda nell’altra e viceversa, in un delirio ansiogeno stile Mulhollan Drive (David Lynch, 2001). Una catarsi necessaria, che finalmente spingerà BoJack verso un percorso di cura. 

3. Hollywood

Philbert è anche puro metacinema. Andando oltre la satira del mondo holliwoodiano con tutte le sue psicosi, presente fin dalla prima stagione e che non manca neanche in questa, ora BoJack osa ancora di più: mostra direttamente le dinamiche perverse e ipocrite della produzione pratica di una serie tv (e di un film), del rapporto tra autori e produttori, sceneggiatori e registi, attori e registi.

4. “Non ci sono buone persone o cattive persone, ci sono solo persone che a volte fanno cose cattive e altre cose buone”

In questa stagione crollano tutti. Anche Mr. Peanutbutter, finalmente. L’episodio 8 (Le ragazze di Mr. Peanutbutter) tradisce il suo egocentrismo patologico, che lo rende completamente incapace di ascoltare l’altro e, dunque, di costruire relazioni mature. Si incrina anche Princess Carolyn, l’instancabile donna in carriera forte come una roccia; e da queste crepe emergono il suo passato, che spiega il suo carattere forte, la sua determinazione e la sua ferrea forza di volontà, ma anche tutte le sue intime fragilità. Il tracollo di Diane, ora alla ricerca della sua identità vietnamita, era annunciato già da almeno un paio di stagioni: sempre più affine a BoJack ma disperatamente ancorata alla realtà, la sua è una caduta sotterranea e silenziosa, di chi si nasconde da sola in macchina a piangere, ma non per questo meno dolorosa.

5. #MeToo

Attuale come sempre, anche questa quinta stagione lancia continue e taglienti frecciatine a ciò che succede nel mondo. Ma nell’episodio 4 (BoJack il femminista) gli autori infrangono la barriera del riferimento sottile e puntano dritto alla questione del #MeToo. E lo fanno in modo raffinatissimo e intelligente, con un sarcasmo che cammina sul filo sottilissimo del politicamente scorretto senza perdere mai l’equilibrio. L’obiettivo non è dissacrante, ma ironico e, a suo modo, serio: riflettere sulle contraddizioni e le ipocrisie interne a un movimento importante che tuttavia sta rischiando di auto distruggersi e provocare gli effetti contrari di quelli a cui ambisce.

Benedetta Pini