Il regista nato ad Amburgo da genitori turchi Fatih Akin torna a occuparsi di storie ai margini della società, sulla scia del suo La sposa turca del 2004. La sua poetica e la sua capacità di unire i sentimenti e le corporalità dei personaggi delle sue storie emerge anche nel suo ultimo lavoro, Oltre la notte, film candidato agli Oscar 2018 come Miglior film straniero e vincitore dell’ultimo Golden Globe per la stessa categoria.

Oltre la notte parla di terrorismo, non quello di natura islamica, che l’Occidente si è tragicamente abituato ad affrontare aggrappandosi al pensiero edulcorante che si tratta di popolazioni lontane da casa, bensì quello in casa, di matrice tedesca, improntato su un’ideologia di estrema destra e razzista e che si scaglia sulle minoranze immigrate in Germania.

Il film si ispira agli omicidi neonazisti a sfondo xenofobo compiuti nei primi anni Duemila da parte dell’NSU (Nationalsozialisticher Untergrund), una cellula terroristica tedesca neonazista, che lasciarono profonde ferite nel Paese e nell’opinione pubblica. Per il regista, tedesco ma di origini turche, furono fatti sconvolgenti, tanto da affermare che Katja è una sorta di suo alter ego.

La vicenda è quella di Katja Sekerci (Diane Kruger), la cui vita viene improvvisamente sconvolta dalla morte del marito curdo Nuri (Numan Acar) e del figlio Rocco, rimasti uccisi nell’esplosione di una bomba. La  morte dei propri cari non le consente di trovare pace, ma l’arresto di due sospettati le fa intravedere la luce: una coppia di giovani neonazisti ostili verso la comunità turco-tedesca di Amburgo. Riuscirà a ottenere una sorta di risarcimento con il processo?  Diviso in tre atti, il film riflette anche sul concetto di vendetta e di giustizia: è lecito metterla in atto? È possibile avere una concezione personale di ciò che è giusto o sbagliato?

Ineccepibile l’interpretazione di Diane Kruger, lontana dagli stilemi dei blockbuster a cui ha lavorato, raggiungendo l’apice con Troy di Wolfgan Petersen (2004). E la Palma D’Oro come Miglior attrice le permette di vedere riconosciuto il buon punto d’arrivo della sua lunga carriera. Se Akin mostra una Diane Kruger più ribelle del solito, con tanto di pantaloni strappati e anfibi, non da meno è la colonna sonora, firmata da un altro ribelle: Josh Homme, leader dei Queens of the Stone Age. Il grunge di Homme si rivela l’accompagnamento ideale di un film come questo, che tratta temi tanto attuali quanto difficili da affrontare.

Akin mostra un quadro realistico di ciò che succede quando un attentato non scuote solo la vita di una città ma quella intima e privata di una famiglia. Come a dire: “E se tutto questo capitasse improvvisamente a te?”. Un messaggio che arriva direttamente allo stomaco dello spettatore e restituisce al cinema la sua ragion d’essere: sensibilizzare chi c’è in sala per accendere dibattiti e opinioni, per cambiare il mondo 24 fotogrammi al secondo.

Mattia Migliarino