Negli ultimi anni la vitalità del cinema europeo viene sistematicamente soffocata dal sistema produttivo e distributivo, che crea bolle di vuoto attorno a molti film indipendenti audaci e meritevoli di raggiungere le sale. ArteKino Festival nasce come risposta a questo problema: fondato nel 2016, rende disponibile sul suo sito una selezione di 10 film provenienti da tutta Europa che si sono distinti all’interno del panorama cinematografico per originalità e coraggio.

Disponibili sulla piattaforma streaming del festival per un mese, i film selezionati sono espressione dell’eclettismo della produzione cinematografica europea contemporanea e la sua capacità di sorprendere e ispirare, confermando la forza di registi affermati e gettando luce su talenti nuovi e giovani. Lontani da ogni formattazione, i lavori selezionati “sfidano l’eredità della modernità, offrono narrazioni complesse o lineari, inventano sistemi formali capaci di ospitare storie di mondi passati o presenti, segreti intimi e le forze del mondo immaginario”.

Those Who Are Fine, Cyril Schäublin, Svizzera, 2017

Composta ed elegantemente fotografata, la Svizzera di Cyril Schaublin si mostra iper curata e controllata, come protetta da una campana di vetro e sorvegliata a vista da decine di telecamere di sicurezza. Alienati e privi di qualsiasi accenno di sensibilità, i personaggi del film agiscono indisturbati nelle trame dell’immobilismo e della ciclicità, ripetendo ogni giorno le medesime azioni senza emozioni. Le loro conversazioni perdono continuamente spessore e non assumono alcuna rilevanza, se non quella di mantenere ancora in vita un dialogo ormai privo di contaminazioni. Persino la giovane Alice (Sarah Stauffer), colta con le mani nel sacco, sembra non interessarsi del proprio drammatico futuro. A filtrare l’intero sguardo del regista una sana dose di humor, che indora la pillola del suo distopic drama.  

For Some Inexplicable Reason, Gábor Reisz, Ungheria, 2014

L’esordio cinematografico di Gàbor Reisz si concentra su un disagio post adolescenziale tristemente diffuso nella contemporaneità. Dopo una laurea in storia del cinema e una lentezza esagerata negli studi, che fare? Evidenziando le contraddizioni che serpeggiano nella società civile dell’Ungheria all’alba del 2014, il film rende poetica e insolitamente romantica l’inadeguatezza del ventinovenne Aron (Áron Ferenczik), incapace di rendersi economicamente indipendente. Tratteggia la personalità del protagonista una fotografia semplice ed efficace che restituisce nitida goffaggine – a tratti eccessivamente verosimile – e lo smarrimento di questo ragazzo un po’ choosy.

Flemish Heaven, Peter Monsaert, Belgio, 2016

Distante dal paradiso, cupo e battuto dai venti di tempesta, il paesaggio fiammingo è la cornice di una maledizione generazionale difficile da dirimere. Come nella più tradizionale delle fiabe, il bene e il male non appaiono precisamente scontornati agli occhi di Eline (Esra Vandenbussche), un bambina di sei anni che nel bosco degli adulti incontra il lupo. I primi piani amplificano il senso delle le battute smorzate e ricalcitranti, mentre inseguono la bestialità delle azioni. Complice di una storia densa e travagliata, il regista Peter Monsaert non giudica le scelte dei suoi personaggi, ma si riserva insieme a loro di mettere fine ad un tragico destino.

L’Animale, Katharina Mückstein, Austria, 2018

Mati (Sophie Stockinger) ha diciotto anni, vive in un paesetto austriaco e sta per diplomarsi. Cosa sarà del suo futuro nemmeno lei lo sa, o meglio, vorrebbe che tutto “rimanesse così com’è”. In puro stile Bildungsroman, l’ingresso nell’età adulta si insinua astutamente lì dove trova una debolezza. La divisa da motorally che Mati indossa tra una scorribanda e l’altra in compagnia dei soliti quattro bulli (ricchi) di quartiere cede ai primi strattoni, sotto i calci dell’Animale che si porta dentro. Decidendo di essere, anziché apparire, come si ostinano a scegliere i suoi genitori, la protagonista accoglie a braccia aperte la barca che la traghetta su un’altra sponda, fieramente consapevole della vita che verrà.

OIKOS (Pity), Babis Makridis, Grecia, 2018

Esordio alla regia di Babis Makridis, già co-sceneggiatore di Yorgos LanthimosPity è la più brillante evoluzione possibile della Weird Greek Wave, che da qualche anno sembrava aver acquisito una dimensione sterile, ripetitiva e autocompiaciuta. C’è tutto: un perverso processo psicanalitico su un personaggio criptico inserito in una dinamica familiare rarefatta e irrisolta, una hanekiana violenza trasparente che si rivela sul finire con un impeto mostruoso, scelte registiche e inquadrature geometriche e studiate. Il film traccia così la parabola ascendente della corrente cinematografica di un paese che timidamente acquisisce sempre più sicurezza della propria identità culturale contemporanea.

Agnese Lovecchio, Carlotta Magistris e Benedetta Pini