Cooder, oltre ad essere un ottimo chitarrista – al di là della proficua discografia da solista, ha anche collaborato con i Rolling Stones alla metà degli anni sessanta – , è un appassionato della musica americana delle origini, la roots music, e nel corso della sua ricerca musicale ha esplorato numerosi generi e Paesi, dal blues alla musica africana passando per la Tex-Mex. Sbarcato a Cuba, scoperta la storia del Buena Vista Social Club e sentiti suonare i vecchi musicisti, decide di ricostruirlo non come club ma come gruppo jazz. Nasce così l’omonimo album: promosso dalla World Circuit Records, che aveva abbracciato il progetto, e registrato agli Egrem Studios a L’Avana con una ventina di musicisti, la cui età media è di ottanta anni, viene pubblicato, e reso disponibile internazionalmente, il 16 settembre 1997. Fin da subito viene accolto molto positivamente da pubblico e critica e non senza ragione. La musicalità e il ritmo della produzione trasporta in un altro mondo, più antico e contemporaneamente senza tempo, più semplice ma pieno di complessità musicale e di ritmi incalzanti, primordiali, a cui è impossibile resistere. Tutto è circondato e straripante di passione e sentimento: i brani si susseguono uno dietro l’altro, senza forzature, naturalmente, come il corso della vita. Le voci di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer e co. sono segnate dall’età – e dai sigari – e si sente, ma questo gli dà una sorta di potenza emotiva altrimenti, forse, irraggiungibile. I venti musicisti del Buena Vista Social Club vivono e hanno vissuto questa musica, la respirano e, inevitabilmente, la trasmettono in modo estremamente convincente.

Quando oggi si pensa alla musica latina la prima cosa che viene in mente è il tormentone estivo reggaeton. Nonostante questo, c’è molto altro. Ed è proprio tra queste alternative che si trova Buena Vista Social Club, album d’esordio dell’omonimo gruppo musicale cubano. Per scoprirne le origini, tuttavia, bisogna tornare un po’ indietro rispetto all’avvento pop della musica latina. Cuba, anni ’40. Mentre il proibizionismo dilaga negli Stati Uniti, L’Avana e Santiago di Cuba vivono un momento di splendore commerciale grazie alle esportazioni illecite di tabacco e rum. L’isola diventa improvvisamente una meta estremamente attrattiva per gli americani. Nascono così numerosi bar e club, spesso con musica live, ovviamente tipica dell’isola. Tra questi spicca il Buena Vista Social Club, un piccolo paradiso per musicisti son, il genere popolare dell’epoca e padre della moderna salsa. Poi arriva la rivoluzione: i club sono costretti a chiudere, il son viene soppiantato dalla salsa e dal pop e rimane dormiente finché, alla fine degli anni ’90, non arriva a Cuba il produttore Ry Cooder.

Il caso volle che, terminato il progetto a Cuba, Cooder si sia ritrovato a lavorare alla colonna sonora del film The End of Violence di Wim Wenders e che abbia fatto ascoltare il nuovo album al regista tedesco. Affascinato dalla musica e dalla storia dietro al Buena Vista Social Club, Wenders decide di volare a Cuba e farlo soggetto di un documentario, uscito nel 1999, che sigillerà il successo del progetto. Il disco decolla in cima alle classifiche di Brasile, Germania, Australia, Regno Unito e Stati Uniti anche grazie alla piccola tournée dell’anno precedente negli USA che portò il gruppo ad esibirsi alla Carnegie Hall di New York e a vincere lo stesso anno persino un Grammy. Risultati mai nemmeno immaginati dagli anziani musicisti di son. Leland Whitney Crafts, psicologa, scrisse nel 1950 nella ripubblicazione del suo Recent Experiments in Psycology che: “quando parliamo un’altra lingua, in qualche modo percepiamo anche il mondo che ci circonda come qualcosa di diverso, di straniero”. Quando si ascolta Buena Vista Social Club succede esattamente questo: si avvertono perfettamente le differenze culturali e temporali ma c’è qualcosa di profondo che ci unisce a quel mondo, a quella Cuba degli anni ’40. Anche a distanza di decenni, il Buena Vista Social Club sarà pronto ad allietare un’afosa serata estiva, come un vecchio amico, solo in attesa di un sigaro, di un bicchiere di rum e di buona musica.

Giulia Tonci Russo