Tra gli anni ‘80 e ‘90 la tradizione dei generi hollywoodiani viene rivisitata da una serie di registi che portano sul grande schermo prodotti che giocano con le convenzioni di genere, mischiando schemi tradizionali a uno stile originale. Tra gli altri, anche l’horror viene ibridato con altri generi, e tra i principali autori di questa rivisitazione c’è John Carpenter. Sono infatti questi gli anni in cui escono i film simbolo della rivoluzione del genere, come La Mosca di Cronenberg e Il seme della follia di Carpenter (1994).

Conclusione della Trilogia dell’Apocalisse (La Cosa 1982, Il signore del male 1987, Il seme della follia 1994), il film è un unico grande flashback di John Trent (interpretato dal formidabile Sam Neil), un investigatore privato che è stato rinchiuso in un manicomio e narra la sua esperienza. Si origina così un racconto nel racconto in cui realtà e immaginazione si fondono e confondono. Tutto inizia con la misteriosa scomparsa di Sutter Cane, un noto scrittore di romanzi horror i cui libri causano fenomeni di isterismo collettivo. È leggendo i suoi libri per trovare indizi che il protagonista inizia ad avere visioni allucinatorie, precipitando in un delirio di scene che si ripetono in loop, volti sconvolti e mostri terrificanti. Il montaggio vorticoso catapulta lo spettatore in questo horror onirico e visionario, che inquieta e affascina allo stesso tempo. 

Il film è il risultato di un miscuglio di generi: horror, thriller e road movie. È infatti al culmine di un viaggio – con inserti onirici – in macchina del protagonista insieme a Linda Styles (Julie Carmen), assistente dell’editore, che viene superato definitivamente il confine tra realtà e immaginazione, ovvero quando entrano a Hobb’s End, cittadina inesistente in cui è ambientato il penultimo romanzo di Cane. Tutto quello che c’è scritto nel libro sembra venire confermato dall’esperienza di John e Linda, e dunque la cittadina è effettivamente abitata da mostri. Ma è davvero così? “Siamo nati prima noi o il libro?”si domanda un cittadino, provocando una riflessione ben più ampia: quale civiltà è nata senza narrazione?

È nei dettagli che Carpenter nasconde la chiave di lettura del film, e molte sono state le interpretazione formulate sulla pellicola. Ma un indizio in particolare si rivela fondamentale: una data indicata da John, il 1788. In quell’anno è stata costruita la Chiesa Nera (che si trova nella cittadina, come nel libro) che “ha divorato il vecchio santuario come ha divorato le nostre menti” – come recita il libro. 1788 è l’anno-prologo di eventi che catapulteranno in piena era moderna la civiltà umana (nel 1789 entra infatti in vigore la Costituzione degli Stati Uniti e inizia la rivoluzione Francese), ma è anche l’anno in cui inizia a evolversi il romanzo, la prima forma di narrazione. Dunque il viaggio di John, di un uomo che attraversa il confine tra realtà e finzione, diventa metafora della narrazione come strumento di salvezza e di comprensione dell’esistenza. 

Fuori di metafora, Cane è il nuovo Dio: il libro è la nuova Bibbia e la Chiesa Nera (allegoria del cinema) è il nuovo santuario dove venerare il Creatore. Ed è Cane stesso a spiegare tutto a John: “Il problema della Chiesa e della religione in generale è che non e mai riuscire a svelare la cognizione dell’orrore, carpire e capire la natura umana e renderla reale”. È il paradosso dell’esistenza: negare la mortale natura umana rifugiandosi in mondi fittizi creati attraverso l’arte. Ma sono questi mondi che, alla fine, rivestono la funzione opposta e portano il mondo fittizio in quello reale, rimettendo in gioco proprio quella paura della morte da cui l’uomo tenta costantemente di fuggire. E allora l’evoluzione della narrazione non può che culminare nell’Apocalisse, nella fine della civiltà occidentale.

Il seme della follia non è solo un’opera meta-narrativa, ma è anche un’opera meta-cinematografica che racconta l’evoluzione del cinema dal montaggio repentino delle avanguardie (loop e visioni oniriche) alla Hollywood classica. 

Filippo Fante