Uscito nel 2005 e candidato all’Oscar per la Miglior sceneggiatura originale, Il calamaro e la balena disponibile su Netflix – sancisce il lancio definitivo di un allora trentaseienne Noah Baumbach nel panorama del cinema indie americano. Se l’evocazione di creature degli abissi del titolo potrebbe fare pensare al surreale Le avventure acquatiche di Steve Zissou scritto da Baumbach insieme all’amico Wes Anderson l’anno precedente, la vicenda narrata dal film è invece del tutto ancorata alla dimensione terrestre: la separazione coniugale e le relative conseguenze emotive su una famiglia della middle class newyorkese di metà anni Ottanta.

Un’altra Storia di un matrimonio (2019), dunque, costellata anche questa da spunti biografici dell’autore. I personaggi – padre e madre narcisisti e i loro due figli adolescenti -, rinchiusi nella loro bolla di aspettative, stereotipi e facile intellettualismo, sono organismi che volteggiano in un ecosistema di cui Baumbach studia i comportamenti e le reazioni lasciando che semplicemente accadano, in un raffinato equilibrio di dramma e commedia che trascina lo spettatore nel frammentario e naturale flusso della vita.

Underwater è, non a caso, il titolo dell’unico vero successo della carriera da scrittore di Bernard (Jeff Daniels), ora frustrato insegnante di scrittura creativa che si crogiola in un cieco egocentrismo e definisce “filistei” tutti coloro con ambizioni diverse dalle sue, compreso il figlio minore Frank (Oven Kline). Questo atteggiamento si fa sempre più narcisista e lo porta infine a scontrarsi con la moglie Joan (Laura Linney), brillante scrittrice emergente con grandi prospettive di successo, portando il matrimonio a crollare.

Le etichette sono i modelli a cui questi personaggi aspirano o da cui, al contrario, rifuggono, in un rimpallo costante tra aspettative, compromessi e opposti. In questo senso, i poster nelle stanze dei ragazzi, i libri sulle eleganti librerie di noce della famiglia, persino le canzoni e le scene dei film che guardano sono sottotesti che intessono il lungometraggio di codici di comportamento imposti dalla società e da certi retaggi culturali. Come quella Hey You dei Pink Floyd di cui il figlio maggiore Walt (Jesse Eisenberg) si appropria, spacciandola per sua durante una recita scolastica, o il poster de La madre e la puttana (Jean Eustache, 1973), rappresentazione stereotipata di due possibili figure femminili, che Bernard appende alle pareti della sua nuova casa. Una casa che fa di tutto per rendere dissimile da quella dell’ex moglie nonostante si trovi appena dall’altro lato del parco. Ancora opposizioni, ancora etichette, ancora un modo per dare senso al caos della vita

Angela Santomassimo