Voto

7

Adattamento di Armando Iannucci della graphic novel La morte di Stalin di Fabien Niry e Thierry, Morto Stalin, se ne fa un altro è una tragicommedia nerissima che dipinge le conseguenze scatenate dalla morte di Stalin all’interno del Comitato centrale del partito comunista.

È il 1953, l’Unione Sovietica si è lasciata alle spalle la tragica ma vittoriosa seconda guerra mondiale ed è sulle soglie della guerra fredda. Il clima dell’epoca viene deformato fino al ridicolo, piegato alle esigenze dell’impietosa satira politica di Iannucci, che lascia intravedere il fatto storico tra le maglie di una trasposizione lontanissima dalla verosimiglianza. I rastrellamenti di massa, le macchinazioni della burocrazia, le persecuzioni politiche, le volubili liste della morte, la confusione tra i vivi e i morti, gli stupri e le torture sistematici nei carceri, la paranoia di essere osservati, il terrore di finire nei gulag per una parola sbagliata, le disfunzioni governative e il desiderio spasmodico di compiacere in ogni modo il dittatore sono tutti elementi reali, filtrati da un approccio grottesco che li trasforma in farsa e fa emergere l’assurdità, il nonsense e il parossismo dell’intera situazione.

Sorge dunque un irriverente quadro complessivo dell’Unione Sovietica, all’interno del quale si situa la surreale – e a tratti demenziale – lotta al potere tra il capo dei servizi segreti NKVD Lavrentij Berija (Simon Russell Beale), Nikita Chruščëv (Steve Buscemi), il ministro degli esteri Vjačeslav Molotov (Michael Palin), l’inetto vice di Stalin Georgij Malenkov (Jeffrey Tambor), il generale Georgij Zukov (Jason Isaacs), l’ubriacone Vasilij Stalin (Rupert Friend) e l’indifesa Svetlana Stalin (Andrea Riseborough). Un po’ divertenti compagnoni, un po’ crudeli rivali, gli attori intessono dialoghi serratissimi di stampo teatrale, che procedono con un ritmo irresistibile e a tratti esilarante nella prima parte, ma progressivamente perdono di mordente.

Il riso cede lentamente il passo alla presa di coscienza e al disgusto verso le vicende, narrate dal film con un approccio politicamente scorretto, privo di edulcoranti di ogni sorta, pronto a scherzare su tutto senza esclusioni di colpi. Si apre così una voragine di riflessioni sulla follia del potere e sul clima di dissimulazione che, ancora oggi, vige ai vertici della politica.

Benedetta Pini