Il 7 marzo 1999 un attacco di cuore colpì Stanley Kubrick. Nato nel 1928 a New York da una famiglia di origine ebraica, Kubrick iniziò la propria carriera come fotografo per la rivista “Look”, ma la grande passione per il cinema lo spinse quasi subito a sperimentare con la macchina da presa, realizzando tre cortometraggi e, nel 1953, il suo primo lungometraggio, Fear and Desire, che successivamente decise di ritirare dalla circolazione in quanto “esercizio cinematografico goffo e dilettantesco”.

Kubrick lavorò quasi sempre per le major hollywoodiane, preferendo tuttavia trasferirsi in Gran Bretagna per distaccarsi dal mondo dello star system. La sua figura fu sempre avvolta da un’aura di divismo eclettico e misterioso, dovuta soprattutto alle interviste controverse e alle dichiarazioni incerte ai limiti dell’incomprensibile che amava rilasciare. Molti lo definirono freddo e insensibile, altri socievole, conviviale e dotato di un umorismo nero e “malato” in grado di ravvivare qualsiasi conversazione. Lo scrittore Calder Willingham, che collaborò con lui per Orizzonti di gloria (USA 1957), scrisse che “semplicemente non gli piacevano le persone, ma gli interessavano solo quando facevano qualcosa di orribile o quando la loro idiozia era così malevola da essere orribilmente divertente”.

Gran parte della tecnica di Kubrick è ispirata all’opera di Orson Welles, dal quale riprese l’uso della profondità di campo, dei piani sequenza, dell’illuminazione con luce naturale volta a evitare effetti melodrammatici o sentimentalismi, del grandangolo e della camera a mano. Ma la genialità di Kubrick emergeva dalla sua filosofia, fondata su un’estetica inimitabile e su uno humour nero volto a scioccare lo spettatore, ma anche sul divertimento osceno e sul piacere sadico. Il grottesco è infatti uno degli elementi essenziali dell’estetica di Kubrick: gli accostamenti di situazioni orribili e violente a elementi bellissimi e poetici e la contemporanea passione per la “super violenza” erano elementi tipici del suo cinema. Il grottesco caratterizzava anche la rappresentazione del corpo umano nei suoi film, soprattutto nel caso della sessualità femminile, per la quale il regista aveva una vera e propria ossessione. Ma l’orrido rappresentato da Kubrick non disgusta quasi mai fino in fondo: l’esasperazione dei tratti osceni li trasforma in un’ironica caricatura, in uno stravolgimento divertente e comico della “normalità”. Ad esempio, il sergente Hartman di Full Metal Jacket (USA/Regno Unito 1987) elargisce una vastissima gamma di minacce, violenze e insulti razzisti ai giovani soldati, ma la sua declinazione teatrale ai limiti del poetico suscita nel pubblico divertimento e sentite risate.

Un altro argomento caro a Kubrick era la relazione tra vita organica e meccanica: dallo scienziato fantoccio de Il dottor Stranamore (Regno Unito/USA 1964) al computer umanizzato di 2001: Odissea nello spazio (USA/Regno Unito 1968), Kubrick indagò il rapporto tra uomo e tecnologia in modo atipico e innovativo per l’epoca, mostrando l’indissolubilità di tale legame.

Nel cinema di Kubrick fu una costante anche il contrasto tra elementi opposti. L’illuminazione naturale e realistica si poneva in contrasto rispetto alle situazioni paradossali e ai personaggi caricaturali, allo stesso modo la struttura lineare e razionale della trama si contrapponeva all’assurdo dell’erotismo pulp. Attraverso questi opposti Kubrick voleva rappresentare le due caratteristiche fondamentali dell’uomo: la pianificazione e l’elaborazione razionale degli impulsi primari. A causa della violenza e dei temi controversi che metteva in scena, Kubrick dovette spesso far fronte alla censura: Arancia Meccanica fu, ad esempio, vietato per anni in molti Paesi, mentre la sceneggiatura di Lolita (USA/Francia 1962) venne continuamente ostacolata e respinta dalle case di produzione, che costrinsero il regista a scendere a compromessi rinunciando a molti doppi sensi e riferimenti sessuali espliciti presenti invece nell’omonimo romanzo di Nabokov.

Appassionato di filosofia, mitologia e simbologia, Kubrick stravolse i canoni estetici del cinema della sua epoca, superando la tradizionale divisione in generi e affrontando la settima arte da un’ottica sempre unica, originale e personale. L’isolamento in Gran Bretagna non impedì alla sua fama di diffondersi in tutto il mondo, fino a diventare un vero e proprio mito, uno dei più grandi registi della storia.

Alessia Arcando