Voto

7

Come ha dimostrato con Nico, 1988 (2017), l’opera di Susanna Nicchiarelli si posizionano nel solco di un nuovo cinema d’autore italiano, che mira a un pubblico internazionale attraverso produzioni lontane dagli stereotipi estetici nostrani e di altissima qualità tecnica, in cui le maestranze nazionali sono affiancate ai migliori professionisti europei. Un’onda che sta cercando di svecchiare il cinema italiano, di cui fanno parte anche Pietro Marcello e Alice Rohrwacher, giusto per citarne un paio. L’ultima opera di Nicchiarelli conferma la direzione presa dalla regista: ancora un biopic su una figura femminile ammantata da un velo leggendario, Eleanor Marx, la figlia del celebre filosofo e tassello fondamentale nella storia del femminismo inglese.

Interpretata da Romola Garai, alterna momenti concitati ed enfatici a momenti drammatici di rara crudezza, facendoci sentire Eleanor più vicina che mai. Una donna moderna distrutta da una dualità interiore ed esteriore, insita nei meccanismi dell’Inghilterra delle fabbriche e del veloce progresso che si scontra con una società ancora arretrata. Come la protagonista, schiacciata dall’ombra del padre e dai suoi due mondi prevalentemente maschili: quello del partito e quello operaio. A questi si aggiunge anche la pressione delle sue dinamiche intime e personali, segnate dalla relazione tossica con il politico Edward Aveling. Ne risulta il ritratto frammentato di una donna divisa fra l’azione politica per il sovvertimento delle dinamiche di genere tradizionali e la tendenza a una progressiva autodistruzione, succube del marito abusivo e manipolatore.

La dicotomia dell’animo della protagonista si rispecchia nella struttura del film, che non riesce a trovare un equilibrio tra tutti i lati del carattere e del contesto in cui si muove Eleanor, finendo per non approfondirne nessuno. Se da un lato i personaggi storici e le scene di lotta proletaria, unici momenti che rimandano a un contesto appena accennato, fanno semplicemente da sfondo alle vicende dell’eroina, dall’altro si percepisce costantemente l’incombenza della figura minacciosa del padre Karl, che sembra avere il controllo della scacchiera anche da morto. Una sensazione palpabile, che evidentemente frena Eleanor nelle sue ambizioni politiche, ma che non viene mai elaborata attraverso un approfondimento del rapporto padre-figlia, che viene lasciato superficiale e nebuloso.

Nonostante questa confusione narrativa, emergono certe sequenze di grande potenza e qualità compositiva, che per costruzione possono essere paragonate a quelle di Peterloo di Mike Leigh, restituendo tutta la palpitante vivacità delle prime battaglie femministe e proletarie. Così, Nichiarelli rinnova l’estetica spesso stantia del genere del film storico, facendo tesoro della lezione di François Truffaut e del suo Le due inglesi, citato direttamente in diverse sequenze.

Davide Rui