Nella vita, come nella fantasia, si può assistere alla creazione di qualsiasi cosa, dalle entità più reali a quelle più improbabili, si può giocare con la natura o con la razionalità per dar vita a creature nuove o a coppie improbabili (biscotti al tonno, un nord coreano insieme a un sud coreano, la destra con la sinistra). In questo grande calderone della non improbabilità si possono trovare anche coppie già esistenti eppure poco note, una fra tutte è l’unione di Milano e il cinema. Il grande schermo non è infatti tradizionalmente associato alla città meneghina, ma come le zanzare sono attratte dalla luce, così il cinema è attratto da tutto ciò che vale la pena raccontare, dalla bellezza alle realtà feroci, fino al fascino più nascosto. Sono proprio queste caratteristiche a rendere il capoluogo lombardo una Musa ideale per la macchina da presa di ogni regista capace di cogliere la feroce poesia delle nubi scure che avvolgono il Duomo o la speranza insita nel Pirellone, simbolo della prosperità milanese.

Dal 15 giugno al 31 agosto lo Spazio Oberdan di Milano ha presentato la nuova edizione di “Milanifesto”, un’esposizione di numerose locandine di film realizzati o ambientati in città; un’occasione per ripercorrere strade e pellicole reali, proprio come quel magnetismo che costringe ad amare Milano. In relazione alla mostra, sono stati proposti tre film tratti da opere letterarie che vedono il capoluogo lombardo nel ruolo di protagonista.

agra

La prima pellicola a essere stata proiettata è La vita agra di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi nei panni di un anarchico arrivato a Milano in pieno boom economico. Il film racconta alla perfezione la trasformazione degli uomini in numeri in affitto, spinti dalla volontà di reagire a una realtà che nuota verso la mediocrità e l’immoralità, ma che allo stesso tempo riesce a sfamare famiglie intere e rende ricco chi ha davvero voglia di diventarlo. Emblematica a tal proposito è la frase scandita da Giovanna Ralli: “A Milano non è mai morto di fame nessuno”.

Il secondo film in scaletta è stato Milano calibro 9, un noir-poliziottesco diretto da Fernando Di Leo, anche in questo caso romanzo prima e sceneggiatura poi. La vera protagonista è la città, che aiuta lo spettatore a calarsi al meglio nelle tenebre inquietanti dello smog e dei colori spenti dei trench assopiti dalla nebbia, nella notte scura che nulla può dinanzi al frastuono degli spari, nei segreti mascherati dalla corruzione e negli intrighi di potere della classe politica e dei grandi finanzieri.

La rassegna si è conclusa con la proiezione de I cannibali, film diretto da Liliana Cavani e ispirato all’Antigone di Sofocle. Una pellicola che ancora oggi fa discutere e divide la critica tra chi lo considera fuori tempo, tragico e crudamente realistico e chi eccessivamente ambizioso nell’ispirazione letteraria nonché irrisolto nelle tesi. La Cavani è stata comunque capace di comunicare tematiche inquietanti non troppo lontane dalla reale e a trasmettere un evidente messaggio di libertà attraverso le sue immagini forti.

Il rapporto tra Milano e il cinema non ha reso giustizia alla città, giudicata, secondo un luogo comune, pragmatica ed esclusivamente dedita ai rapporti finanziari. Ma spesso anche i numeri, se usati nel modo giusto, possono diventare poesia, a volte basta solo un semplice sforzo per comprenderli. Capire una città così complessa ma eternamente affascinante non è semplice, bisogna fidarsi di lei; e scoprire Milano è un po’ come corteggiare una bella donna: ne varrà sempre la pena.

Fabrizio La Sorsa