Ha dato voce all’anima umana e alle sue inquietudini attraverso una ricerca cinematografica intima e personale, allontanandosi dalle tendenze dominanti all’epoca. Cresciuto in una famiglia borghese, Michelangelo Antonioni ha raccontato i drammi e le incomprensioni della propria classe d’appartenenza, la borghesia, in un periodo storico, quello del boom economico, in cui la società italiana stava attraversando una fase di trasformazione epocale.

Criticando la decadenza di una classe sociale corrosa al suo interno, lo svuotamento dei valori tradizionali, lo sviluppo di nuovi interessi e il vuoto celato dietro le apparenze, Antonioni ha impresso su pellicola la crisi di una generazione nascente, spaventata dal futuro ma decisa a tagliare i ponti con ciò che l’ha preceduta e a emanciparsi attraverso l’affermazione di una dimensione drasticamente nuova.

La difficoltà di questa “variazione generazionale” si traduce nella scelta delle location, dettata da un rapporto con l’ambiente che affonda le radici nei tempi dell’illusorio e dell’estraneità: gli ambienti privilegiati di Antonioni sono allora la città, luogo della distrazione e dell’individualismo, e la fabbrica, in cui la dialettica tra tradizione e innovazione trova la sua forma concreta.

Il contesto cupo e minaccioso di Deserto rosso (1964) è infatti funzionale per mettere a fuoco la depressione di Giuliana (Monica Vitti), affetta da turbe psicologiche che la paralizzano nella vita privata e lavorativa, e l’arroganza cinica degli industriali che la accerchiano. La crisi interiore di Giuliana è la metafora con cui Antonioni vuole descrivere il rapido mutamento subito dall’Italia del boom economico e che gli abitanti di periferia faticano ad assimilare.

Un ambiente dunque strettamente legato ai personaggi che lo abitano. Deserto Rosso, ma ancora di più film come L’avventura (1960), La notte (1961) e, soprattutto, L’eclisse (1962) propongono storie segnate dalla perdita e dalla paura, vissute da personaggi sempre meno prevedibili e comprensibili a primo impatto.

Vittoria (Monica Vitti), protagonista de L’eclisse, vaga inquieta, assetata di un senso indefinito di completezza e serenità, preda di un disinteresse totale verso le cose materiali, che si manifesta nel suo modo di soffermarsi a contemplarle con timidezza, senza il desiderio di conoscerle, accontentandosi di osservarle dall’esterno, innamorarsene momentaneamente per poi abbandonarle senza alcun motivo evidente. 

Il rapporto personaggio-ambiente trova in Blow-Up (1966) un’evoluzione direttamente proporzionale al cambio di stile di Antonioni. La vicenda di Thomas (David Hemmings), fotografo londinese, si svolge tra le strade della swinging london tra manifestazioni “No War” e aspiranti modelle intente a farsi fotografare per ottenere notorietà. Gli esterni caotici della capitale britannica sono il luogo in cui il protagonista dà sfogo alla sua verve fotografica; mentre l’interno asettico e anche un po’ stravagante del suo studio è il luogo in cui le passioni e manie di Thomas prendono forma.

Scomparso il 30 luglio del 2007, Antonioni ha concepito i suoi film come oggetti intrisi di una poetica personale, volta a suscitare nel pubblico uno sguardo critico verso le vicende narrate.

Mattia Migliarino