Cosa possono avere in comune il capolavoro del cinema neorealista – di recente tornato al cinema in versione restaurata grazie alla Cineteca di Bologna – e la serie tv targata Rai? Nel 1946 Vittorio De Sica gira Sciuscià, dall’inglese shoe shine, film sulle vicende di due lustrascarpe che il regista aveva incontrato e conosciuto, raccontate attraverso il linguaggio neorealista, senza filtri né artifici, col fine di trasferire brutalmente e direttamente il reale sullo schermo. Mare fuori esce nel 2020 e la narrazione adotta un taglio simile, rappresentando l’umano nel contesto più disumano, il sentimento nell’assenza di empatia. Negli anni Cinquanta, l’allora giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo Giulio Andreotti definiva questo genere rappresentazioni come i “panni sporchi” dell’Italia, e dunque da lavare “in famiglia”, da non esporre allo sguardo esterno, in modo da divulgare un’immagine edulcorata, patinata e ottimistica del paese. Una tendenza all’obnubilamento, all’omertà e alla rimozione che sembra perdurare ancora oggi.

Ad accomunare dunque le due opere sembra essere la presa di coscienza dell’ostacolo sociale che si frappone tra il singolo individuo e la possibilità di ottenere la libertà. Pur differenti nell’essenza e nell’esito, Sciuscià e Mare fuori esprimono una stessa urgenza: la necessità di una revisione morale e identitaria della posizione politica e ideologica del paese nei confronti della gestione delle carceri minorili. Entrambe le opere, infatti, si sviluppano diegeticamente sia nelle fasi precedenti all’arresto (trend che ha spopolato su TikTok dopo l’uscita della terza stagione di Mare fuori), sia in quelle successive (ovvero la detenzione stessa). Tra i due momenti si sviluppano e intersecano le relazioni personali tra i personaggi, sia in Sciuscià sia – soprattutto – in Mare Fuori, che vanno a destabilizzare e ribaltare gli equilibri originari.

Al cambiamento di questi rapporti corrisponde un rallentamento o un’accelerazione del ritmo della narrazione: nel caso di Sciuscià, la separazione dei due bambini produce un sostanziale e simbolico mutamento nella scansione delle sequenze, che si trovano sdoppiate spazialmente (Pasquale in una cella, Giuseppe in un’altra); in Mare fuori, la scissione si manifesta nella divisione tra il reparto femminile e maschile del carcere e tra la zona dei detenuti e quella dirigenziale, fratture tra spazi distinti ma contingui che rimandano a un frazionamento anche morale, sociale. Ciò che appassiona di Mare fuori e di Sciuscià è la lotta perspicua contro l’ingiustizia verso i minori, la tenerezza nella disperazione, la sincerità nella brutalità e un concetto di amore di difficile definizione ma di immediata appercezione. Gli adulti esistono, ma si nascondono sullo sfondo lasciando spazio ai topoi del coming of age e, attraverso le loro debolezze e fragilità, portando i figli a emanciparsi, a prendere coscienza della loro definitiva inettitudine, del loro fallimento, al pari delle istituzioni. Il mondo adulto è vittima dei suoi stessi meccanismi, l’intera struttura sociale rivela il proprio insuccesso, oggi come allora.

Durante l’annuncio promozionale di Sciuscià via radio, De Sica affermava: “Che si provveda subito all’organizzazione di istituti di rieducazione, si tolgano le sbarre, si dia del buon vitto, un letto per dormire e non un giaciglio da bestie. Si allontanino dai ragazzi che hanno errato per mancata educazione, per fatalità, per necessità, per fame, i delinquenti costituzionali e a tutta questa tragica giovinezza si dia luce, speranza, amore. La sciagura che si è abbattuta su di noi sia da noi stessi combattuta. Ci pensino gli uomini del governo. Ci pensi tutto il popolo italiano”. Come in un deja vu, al Festival di Sanremo del 2023, la giornalista Francesca Fagnani ha dedicato il suo monologo ai detenuti del carcere minorile di Nisida: “Non tutte le parole sono uguali e non tutte arrivano con facilità. Alcune devono superare porte chiuse a tripla mandata. […] Lo stato non può esistere solo per l’attività di repressione delle forze di polizia. Lo Stato dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa, dovrebbe garantire pari opportunità, è una questione di democrazia, di uguaglianza. Lo stato dovrebbe essere più attraente, più sexy dell’illegalità”.

La criticità sociale si presenta dunque prima della detenzione, durante la detenzione e dopo la detenzione, in modalità e sfumature differenti ma parimenti deleterie nei confronti dei giovani – come le due opere evidenziano. Entrambi film di denuncia sociale, Sciuscià venne amato all’estero, soprattutto dal pubblico americano, mentre Mare fuori rappresenta una delle più seguite serie tv nell’Italia degli anni ’20 del Duemila, uscita su Netflix e in procinto di essere esportata come format (The Sea Beyond) in Germania, Israele, Scandinavia e alcuni paesi dell’America Latina. L’autrice Cristiana Farina – già sceneggiatrice di Un posto al sole – lo descrive non come una docu-fiction, ma come un insieme di storie ispirate a fatti veri: “Abbiamo raccolto storie in molte carceri, non solo a Nisida. Abbiamo lavorato molto anche con l’associazione che si occupano di reinserire i ragazzi nel mondo del lavoro. Mare fuori è un romanzo di formazione e come tale narra di un bambino che vede entrare nel bosco senza sapere se ne uscirà vivo. […] L’adolescenza è un’età in cui è ancora possibile cambiare e se qualcuno ti tiene la mano e ti indica la strada, la possibilità di recupero esiste”.

L’esplorazione del microcosmo infantile-adolescenziale avviata da De Sica aveva, continua ancora oggi, diventado un fenomeno di culto. Il sentimento della libertà, sovranarrato e sovrainterpretato in tutta la storia del cinema e delle serie tv, si materializza in Sciuscià e Mare fuori nella sua forma più innocente e sincera: un cavallo comprato tramite del denaro rubato rappresenta simbolicamente la coesione tra Giuseppe e Pasquale e la possibilità per loro di emanciparsi; ugualmente, i personaggi di Mare fuori eliminano i dogmi tradizionali, gli antagonismi tra famiglie, le differenze etniche per autodeterminarsi. Se il cavallo bianco in Sciuscià rappresentava la dimensione poetica, fiabesca, romantica che si interseca alla crudezza dell’inclemente linguaggio neorealista, nella fiction Rai la promessa che ce sta o’ mar’ for’ ne è la sostituta.

Federica Furia