Voto

9

Esordio alla regia per il giovane Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot smentisce la contraddizione in termini di un supereroismo genuinamente italiano e fa all in orchestrando un’armonia estremamente eufonica di noir, romanticismo, mafia e cultura pop americana e nipponica. Tutti fattori che l’autore non si limita a imitare ma che assimila onnivoramente e rielabora in modo del tutto originale. Il risultato è l’origin story, in termini fumettistici, dell’anti-eroe Enzo Ceccotti, criminale di bassa lega che si scopre dotato di una forza sovrumana in seguito al contatto con alcune sostanze radioattive.

L’umanità autentica e la disperata crudezza dei personaggi rompono i confini di un film di genere e determinano un prodotto fortemente innovativo che prende le distanze dal più fanciullesco Il ragazzo invisibile di Salvatores (2014). Invece la cura estrema nella fotografia e nelle ambientazioni plasma una Roma spoglia dalla sublimazione sorrentiniana, che si fa cassa armonica del crudo realismo di questo superhero movie sui generis.

Massimo pregio della pellicola sono le interpretazioni, impeccabili: Claudio Santamaria parla poco ma convince con un’eloquenza corporea straordinaria, mentre Luca Marinelli dà vita al villain più carismatico, grottesco e brillante della scena italiana degli ultimi anni.

Giorgia Maestri