Voto

6.5

Non solo la guerra Ferrari-Ford, ma una storia di uomini e di dualismi americani: questo è Le Mans ’66 – La grande sfida. La fisicità del motore e l’evanescenza del marketing; l’uomo della strada che persegue il mito del self made man e cerca di plasmare il proprio destino, ma viene schiacciato dalle grandi aziende. L’hollywoodiana lotta del bene contro il male si riverbera nella vita di Ken Miles e dell’episodio di quella vittoria rubatagli, di quel titolo mancato, e di una vita spenta prematuramente nella corsa spregiudicata all’innovazione. La guerra tra le due case terminò presto: il regolamento della 24 Ore del 1968 limitò la potenza dei motori, placando la folle corsa al progresso tecnologico e l’insana rivalità tra le scuderie.

Tra una ricostruzione storica parecchio romanzata e una rappresentazione dell’italianità fatta dei soliti schematismi hollywoodiani, il film adotta tuttavia uno sguardo leggermente più sottile nelle sequenze particolarmente rilevanti, combinando agli stereotipi un profondo rispetto per la storia vera, umana dei personaggi. La Ferrari non rappresenta il male e lo scontro non è polarizzato tra Usa Vs Europa, perché Enzo Ferrari è un alleato di Ken Miles nella sconfitta, e nonostante le differenze si ritrovano accomunati da una visione emotiva che mette in secondo piano il denaro. Sono entrambi meccanici e reduci di guerra, individualisti e nazionalisti postbellici, attaccati alla famiglia e soprattutto a a una percezione viscerale della velocità. Henry Ford II non è mai salito sopra a una delle macchine che finanzia, non conosce i piloti né lo staff, si muove in equilibrio tra deliri di onnipotenza e completa inadeguatezza: è lui il male. Il vero antagonista è infatti la Ford, che rappresenta simbolicamente tutte le grandi aziende: motori alimentati a soldi e immagine che impongono dall’alto decisioni, obblighi, regolamenti e favoritismi che stanno stretti alle emozioni dei piloti e all’idea romantica che la relazione uomo-macchina possa basarsi sull’ascolto, la conoscenza e consapevolezza e non sul freddo sfruttamento della catena di montaggio.

Pietro Bonanomi