L’accoppiata Danny Elfman-Tim Burton, iniziata nel 1988 con il film Beetlejuice – Spiritello Porcello e rafforzatasi in seguito alle riprese di Edward mani di forbice (1990), non ha mai deluso le aspettative. Ed è proprio la sorprendente sintonia espressiva tra i due artisti ad accentuare il tetro surrealismo tipico degli scenari burtoniani, mondi cupi e appassiti abitati da controfigure della morte e da spettri somiglianti ai sette vecchi (Les sept vieillards) de I fiori del male di Baudelaire.

Gli aspetti tipici del cinema burtoniano certamente non mancano nella lugubre storia de La sposa cadavere, il film in stop motion diretto da Tim Burton e Mike Johnson nel 2005 e ispirato a un racconto popolare ebraico. Come in Edward mani di forbice, infatti, la colonna sonora curata da Danny Elfman si fonde con le tematiche e con l’estetica del film, portando alla luce anche gli aspetti più intimi della pellicola. I protagonisti di questo visionario racconto viaggiano di continuo dal mondo dei vivi a quello dei morti: due sconfinati piani di un unico palazzo (“il piano di sopra” e “il piano di sotto”, per l’appunto). Ma, colpo di scena, Burton sceglie di rappresentare come opprimente il mondo dei vivi servendosi di tinte grigiastre e viranti al blu, mentre dona una paradossale vitalità a quello dei morti attraverso l’uso di corposi colori pastello. Questo ribaltamento di prospettiva si rispecchia nelle musiche di Elfman, movimentate nel “piano di sotto” tanto quanto angoscianti – anzi, da vero e proprio horror – in quello “di sopra”.

Burton, infatti, distrugge con perverso piacere tutti gli stereotipi legati alla vita e trasforma la realtà terrena in una vasta distesa di tristezza e di malinconici paesaggi degradati che presagiscono la morte, mentre le gotiche melodie di Elfman, composte con organi e clavicembali, sono uno sfondo perfetto. Durante la prima traccia della pellicola, Main Titles, il regista offre allo spettatore un giro panoramico nella città dei vivi: un paese brulicante di uomini rassegnatamente infelici e malati, vittime di una punizione dalla quale verranno liberati soltanto con la morte.
La melodia del secondo brano According To Plan – scritto dallo sceneggiatore John August e magnificamente interpretato da Albert Finney, Johanna Lumley, Tracey Ullman e Paul Whitehouse – è strettamente collegata al primo, e le parole del testo mostrano che il motivo della prigionia dei vivi risiede nella mancanza di amore all’origine dei matrimoni, sostituito dalla brama di denaro.

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Proprio quest’ultimo, infatti, è il virus che infetta e imputridisce l’ambiente circostante, specchio dell’anima umana corrotta e insensibile. Burton, però, offre due eccezioni a questa sconfortante visione dell’umanità: tra Victor Van Dort e Victoria Everglot sboccerà un sincero amore nonostante il matrimonio gli fosse stato imposto dai genitori, desiderosi di denaro. La goffaggine di Victor durante le prove del suo matrimonio, però, lo spingerà a fuggire nel bosco per la vergogna, dove il destino lo farà inaspettatamente sposare con un cadavere, un’unione sacrilega che non potrebbe non essere accompagnata da melodie sinistre e da cori spettrali (Into The Forest).

A quanto pare, il jazz sarà invece il sound dell’Aldilà. Proprio per il mondo dei morti, infatti, Elfman compone due magistrali brani in perfetto “stile Aristogatti” con l’aggiunta (più che legittima, considerate le circostanze) di qualche sfumatura macabra: Remains Of The Day, interpretata in modo straordinario dallo stesso Danny Elfman in collaborazione con Jane Horrocks, Paul Baker, Alison Jiear e Gary Martin e l’entusiasta New Arrival con cui i morti accolgono i nuovi arrivati nel “piano di sotto”. Persino la traccia più triste di questo mondo, Tears To Shed si riempirà di luce quando una simpatica vedova nera e un verme che si improvvisa grillo parlante – doppiati rispettivamente da Jane Horrocks e Enn Reitel – tenteranno invano di alleviare il dolore della protagonista Emily – voce di Helena Bonam Carter –, accompagnati da serene melodie di violino.
La scena successiva si apre con alcune note della stessa Tears To Shed suonate al pianoforte dalla sposa cadavere. Questa volta, però, sarà l’intervento del protagonista Victor (causa della sofferenza di Emily) a placare la malinconia della funerea sposa: sedendole accanto e mostrando le sue doti di musicista, inviterà la defunta ragazza ad accompagnarlo in un’allegra versione della traccia più celebre e commovente della pellicola, Victor’s Piano Solo (brano che era già stato interpretato da Victor nel “piano di sopra”).

Un racconto talmente impregnato di morte non poteva che incuriosire un amante nonché maestro del macabro come Tim Burton. Il lugubre romanticismo della trama, però, oltre a richiedere un gusto estetico capace di valorizzarne l’oscura perversione, necessita altrettanto di suoni che intervengano nel profondo delle sensazioni e dei sentimenti dello spettatore. Il senso di inquietudine trasmesso dalle pellicole burtoniane è, infatti, il risultato della cooperazione tra immagini e suoni, il frutto di una comunione di intenti che lega profondamente, forse ancor più del vincolo matrimoniale, il regista e il compositore.

Federica Romanò