La storia del leader dei Joy Divison Ian Kevin Curtis – qui interpretato da Sam Riley –, viene raccontata nel commovente film biografico Control (2007), diretto da Anton Corbijn.
La vicenda si svolge a Macclesfield, una piccola città inglese dominata dal grigio; colore che trova un’azzeccata corrispondenza nel bianco e nero della pellicola, nella tragedia esistenziale vissuta da Curtis durante la sua breve vita e, soprattutto, nel gelido tormento che attraversa i brani dei Joy Division. E nel film è anche e soprattutto la colonna sonora a raccontare l’amore, le passioni e la sofferenza di Ian: erano infatti lo spiccato talento di Curtis per la scrittura, la sua insolita sensibilità e le logoranti domande esistenziali che poneva a se stesso a plasmare la musica dei Joy Division, bella solo in parte perché “in parte non è nata per essere bella”. I problemi di Ian non iniziarono soltanto con la scoperta dell’epilessia e con l’incontro con Annik Honoré (la donna di cui si innamorò cinque anni dopo il suo matrimonio con Deborah Woodruff), ma hanno la loro radice nel tormento e nello straniante sentimento di distanza che il cantante sentiva nei confronti del suo pubblico e di chi promuoveva la sua musica. “Quando sono lassù, a cantare, non capiscono quanto io do e quanto mi sconvolge […]. È come se non stesse succedendo a me, ma a qualcuno che fa finta di essere me.” diceva Ian.
È il 1973 quando, all’inizio del film, vediamo Ian Curtis tornare a casa con Aladdin Sane, il nuovo album di David Bowie, dalla cui parte ambient Ian rimase folgorato. A fare da sottofondo è Drive-In Saturday che continua, per la gioia delle nostre orecchie, anche nel momento in cui veniamo catapultati nella stanza del cantante, colma dei dischi degli artisti che hanno ispirato e influenzato i Joy Division. Tra questi, oltre a Bowie, figurano i Velvet Underground e Iggy Pop; ed è qui che abbiamo il piacere di ascoltare 2hb dei Roxy Music e The Jean Genie di Bowie (Aladdin Sane).
Lo spessore musicale dei brani che accompagnano Control è chiaro sin dalla prima traccia; e proprio dopo pochi minuti il regista spiazza lo spettatore con una delle sequenze più esaltanti del film, grazie alla potenza dei suoni e delle immagini. Ian Curtis passeggia per Macclesfield e l’inquadratura si sposta dal primo piano del volto alla schiena del cantante, mostrando la scritta bianca “Hate” sul retro del cappotto mentre fa da sottofondo l’inarrivabile No Love Lost, tratta dall’EP di debutto dei Joy Division (An Ideal For Living, 1978).
Nella pellicola troviamo anche alcuni spezzoni live di tre gruppi che contribuirono alla formazione e allo sviluppo dei Joy Division: i Sex Pistols, John Cooper Clarke e i Buzzococks. Del primo concerto possiamo ascoltare la performance di Problems presso la Lesser Free Trade Hall di Manchester mentre guardiamo i giovani e futuri Joy Division godersi il concerto; il live di John Cooper Clarke, invece, è stato ripreso dal regista durante l’esibizione di Evidently Chickentown; infine, i Buzzocks vengono introdotti nel film attraverso la loro performance durante la trasmissione televisiva del conduttore Tony Wilson.
Il film continua con una serie di esibizioni dal vivo dei Joy Division, in cui è davvero il cast che interpreta la band a suonare e cantare; le magistrali interpretazioni degli attori riescono a restituire persino l’atteggiamento distaccato che i Joy Divison mantenevano sul palco: non c’era spazio per un dialogo con il pubblico, i loro brani erano l’espressione del disagio interiore che affliggeva il loro leader di cui nessuno (forse nemmeno gli altri componenti del gruppo) poteva essere partecipe. Così, alle acclamazioni della folla si accompagnava la freddezza e l’apparente indifferenza della band, concentrata soltanto sulla propria musica. L’esibizione che spicca più di tutte è quella del 27 maggio 1977, in cui il gruppo fece da spalla ai Buzzcocks; non avendo ancora scelto il loro futuro nome, si fecero chiamare Warsaw in omaggio al capolavoro di Bowie Warszawa – brano che nel film comparirà nel momento in cui Curtis conosce Annik.
Corbijn riassume, poi, il live successivo – quello in cui i Joy Division vennero finalmente notati da Martin Hannet, il produttore dell’EP di debutto dei Buzzcocks – attraverso l’esibizione del brano Digital; fu dopo questo concerto che Tony Wilson propose alla band di far parte della Factory Records (l’etichetta discografica da lui fondata) e gli offrì l’opportunità di partecipare al suo programma televisivo, So It Goes, in cui si esibirono con Transmission. Ma, come spesso accade, proprio un incidente permise a una performance dei Joy Division e al gruppo stesso di passare alla storia. In uno dei successivi concerti, durante la sublime traccia Dead Souls, Ian ebbe una crisi epilettica: nel bel mezzo del suo delirante ballo cadde ai piedi della batteria, in preda a una convulsione. Degna di nota, infine, è l’esibizione durante la quale Ian si rifiutò di cantare e il loro produttore Martin Hannet, mentre il resto del gruppo suonava la bellissima e triste Disorder, dovette mandare sul palco Alan Hempsall – il cantante dei Crispy Ambulance – che venne aggredito dal pubblico.
I brani dei Joy Division non compaiono soltanto durante le rappresentazioni dei live, ma fanno anche da sottofondo ad alcuni dei momenti più cruciali della vita del cantante raccontati nella pellicola. Il regista inscena, ad esempio, la registrazione di She’s Lost Control, nella quale è il basso di Peter Hook – una delle colonne portanti del post-punk dei Joy Division – a trionfare. Mentre, al termine di una discussione tra Ian e sua moglie durante la quale lui le confessa di non amarla più, Corbijn ci fa ascoltare Love Will Tear Us Apart, il brano che meglio poteva accompagnare una tale situazione, nonché il più celebre del gruppo. Le strazianti parole cantate da Curtis, infatti, svelano il dolore disarmante di un amore che vira inevitabilmente verso la fine, corroso dall’abitudine e, insieme, dal cambiamento. La voce profonda e distante del cantante trafigge come una lama lo stomaco dell’ascoltatore, che cerca invano riparo nella bellezza agghiacciante dei suoni geometrici.
Verso il finale Corbijn sceglie di caricare di tristezza lo spettatore: poco prima dell’ultima crisi Ian ascolta The Idiot di Iggy Pop (uscito nel 1977, fu uno degli album che più influenzarono la sua musica). A noi spettatori, però, non è paradossalmente concesso udire i suoni provenienti dal giradischi di Curtis; quello che ascoltiamo è uno dei tre brani composti dai New Order appositamente per la pellicola, Get Out. Il termine della traccia coincide con l’inizio dell’attacco epilettico, al risveglio dal quale Ian, ormai stanco della sofferenza che lo opprime, prende la fatale decisione: il 18 maggio del 1980, alla vigilia della partenza del gruppo per il tuor in America, Ian Curtis si impicca nella sua casa a Macclesfiedl. Nel momento in cui viene trovato morto dalla moglie, in concomitanza con le disperate grida che seguono, parte Atmosphere, il pezzo più struggente dei Joy Divinon (di cui il regista ha persino girato il video musicale per la riedizione del 1988).
Control è un film del quale non si può rendere giustizia con le parole: le sottili sensazioni provocate dalla pellicola nello spettatore sono difficili da descrivere, esattamente come gli immortali brani dalla portata epica che ne costituiscono la colonna sonora e come l’eterna bellezza della musica dei Joy Division.
Federica Romanò
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