La Terra è crudele, non dobbiamo piangerne la distruzione.
Che cosa?
Nessuno ne sentirà la mancanza. Tutto quello che so, è che la vita sulla Terra è crudele.

Melancholia (2011)

Le sorelle Claire (Kirsten Dunst) e Justine (Charlotte Gainsbourg) sono le protagoniste del visionario Melancholia  (2011), acclamato e disorientante lavoro di Lars von Trier. Il regista danese, inventore del dogma 95 e strenuo sostenitore di un cinema che dipinga la nuda e cruda natura umana, è stato oggetto di un’imperdibile rassegna di 11 film, curata dalla Cineteca Italiana presso lo Spazio Oberdan di Milano.

La Terra corre il presunto rischio di essere distrutta. L’Apocalisse in vista è il pretesto per assistere alle derive interiori della psiche di chi convive con l’idea che tutto stia per finire e si appresta ad affrontare il nulla, l’ignoto. Simili riflessioni sui breakdown mentali di chi soffre una situazione drammatica sono indagati, sebbene in forma diversa, anche nel precedente Antichrist (2009), opera più criptica incentrata su una coppia di genitori che ha appena perso il figlio, caduto dalla finestra socchiusa della loro camera durante un amplesso che li ha resi entrambi impotenti nei confronti della sua sorte. Il punto massimo del loro amore carnale coincide con il momento chiave della loro rovina, che avrà luogo in un’isolata baita  di montagna, dispersa nella natura; una sorta di Eden biblico tramutatosi da paradisiaco a infernale.

Le ghiande continuavano a cadere e cadere, morire e morire. Allora ho capito che forse l’Eden conteneva qualcosa di terribile. Ho iniziato a sentire quello che prima non potevo, il grido di tutto ciò che sta per morire.

Antichrist (2009)

Proprio come la quercia si riproduce pochissime volte rispetto al numero di ghiande che genera, così la nascita di un figlio è un evento raro e meraviglioso, ma la sua successiva perdita comporta un terribile lutto. In una sequenza dalla forte carica simbolica, una volpe annuncia che “il caos regna”: la vita umana e il mondo non sono altro che vortici caotici di morte e di redenzione, tanto desiderata quanto irraggiungibile. Come la curiosità e l’arroganza condannarono Eva all’espulsione dal mondo perfetto, così la scelta lussuriosa e consapevole di Lei (Charlotte Gainsbourg), che avrebbe dovuto badare al figlio, ha provocato la sua morte.

In Dogville (2003) Nicole Kidman interpreta Grace, la figlia di un boss mafioso decisa a cambiare vita con l’aiuto di una piccola comunità che sembra accoglierla benevolmente. Ciò che la ragazza rimprovera a suo padre è proprio l’arroganza, qualità che lei (Grace, ovvero “grazia”, secondo un interessante gioco semantico) vuole sfuggire a tutti i costi. Ma nel momento in cui i suoi nuovi concittadini la mettono di fronte a tutte le possibili crudeltà immeritate che potrebbe subire, capisce di essere lei la vera arrogante, cieca di fronte alla natura orribile dell’essere umano e alla sua irrefrenabile violenza.

Se la speranza di Grace era quella di fuggire da chi sentiva diverso da lei, rimarrà delusa: invece di una nuova casa accogliente non troverà altro che una forma diversa di pericolosa malvagità primordiale e inestirpabile. Si tratta di quello stesso male di Antichrist, che può essere combattuto solo con un catartico annichilimento finale, un evento-culmine senza possibilità di pentimento, proprio come di fronte alla notizie che la Terra sta andando incontro a un impatto fatale (Melancholia).

Ma i cani non fanno che obbedire alla loro natura, non li dovremmo perdonare?
Possiamo insegnare loro varie cose, ma non se li perdoniamo ogni volta che seguono la loro natura. 

Dogville 2003

L’ingenuità di Grace emerge con forza nell’allegoria di una società pronta a sbranare i deboli e a dare sfogo alle proprie pulsioni in maniera efferata e oscena: Dogville non è altro che il nostro mondo, dominato da un male che non possiamo eliminare se non con un estremo atto finale di distruzione, che ridurrà la cittadina un tempo quieta e serena  ad un cumulo di ceneri.

Federico Squillacioti