1. Questione di soldi

La casa di carta è quasi interamente ambientata nella Zecca di Stato spagnola, a Madrid, dove si intrufola un manipolo di galeotti con l’intento di stampare il maggior numero di banconote possibile e svignarsela senza uccisioni né stragi. Il progetto, architettato a regola d’arte dal dinamico e intricato Professore (Álvaro Morte), non viene però illustrato completamente, tralasciando alcuni dettagli che arricchiscono la sceneggiatura di una certa dose di suspense, senza la quale i dialoghi, di per sé poco realistici, non reggerebbero neanche un episodio.

2. Questione di potere

Mentre il Professore gestisce dall’esterno la comunicazione con la polizia di Stato e, in particolare, con la risoluta agente Rachel Murillo, le macchine di stampaggio, i conti a nove zeri e l’isteria degli ostaggi vengono orchestrati da Berlino (Pedro Alonso), Denver (Jaime Lorente), Mosca (Paco Tous), Tokyo (Úrsula Corberó), Nairobi (Alba Flores), Helsinki (Darko Peric) e Rio (Miguel Herrán); affiatati compagni di squadra che condividono, oltre ai rischi del colpo, la regola dell’anonimato. Ciò che li accomuna sotto alle loro tute rosse è la necessità di contare, di essere importanti, di avere la libertà di tenere in pugno una nazione. Tuttavia, se alcuni personaggi calzano a pennello nel ruolo da duro, altri appaiono meno credibili, più impulsivi e a tratti acerbi.

3. Questione di politica

La serie tv si concentra sulle questioni secolari del capitalismo: approfittando di una regia indovinata, porta il popolo spagnolo (e lo spettatore) a tifare per i Robin Hood in maschera. Dipingendo uno scenario in cui un gruppo di persone conia denaro da sé senza sottrarre nulla al popolo, La casa di carta giustifica in modo semplicistico la rivolta sociale (un colpo basso per ¡Democracia Real YA!, l’organizzazione da cui trae ispirazione) e liquida la rivoluzione popolare con qualche canto partigiano e banconote da 50 euro. L’immagine che viene restituita della Zecca di Stato è così debole da crollare al primo tentativo di sommossa, proprio come un castello di carta.

4. Questione di donne
 

In linea con le attuali rivendicazioni femministe, alcune donne della serie sembrano sentirsi più a proprio agio da sole: madri, mogli, compagne o single, si mostrano forti e irriverenti nella conquista della loro indipendenza, nell’affermazione del matriarcato, anche a costo di sgomitare con sfrontatezza e prepotenza. Tuttavia, ciò che le rende donne di carattere non è tanto la posa da macho, quanto il loro equilibrio tra l’azione e i drammi personali.

5. Questione di sentimenti

Nonostante l’azione la faccia da padrone, i personaggi, sia ostaggi che fuorilegge, sono umanamente coinvolti in relazioni interpersonali, più o meno amorose; e i sentimenti rischiano spesso di funzionare da controparte al progetto criminale. Oltre a essere efficaci espedienti narrativi, le emozioni contrastanti vissute dai personaggi rendono il cast particolarmente simpatetico.

Agnese Lovecchio