Classe 1941, Krysztof Kieslowski nasce a Varsavia, si diploma in pittura scenografica nonostante il suo sogno fosse quello di essere regista, obiettivo che realizza quando nel 1965 viene ammesso alla Scuola Superiore di cinema di Lodz. A questo grande regista lo Spazio Oberdan di Milano ha deciso di dedicare una rassegna che, iniziata il 14 gennaio, si concluderà venerdì 29 gennaio.

Kieslowski inizia la sua carriera cinematografica come documentarista, ma nel 1985 vira verso una direzione più poetica che predilige la rappresentazione di una realtà onesta e critica con il film Senza Fine, nel quale si occupa di studiare i meandri dell’inconscio e di analizzare il peso delle tracce esperienziali della vita, cercando di dimostrare che queste ultime non possono essere rimosse dalla scienza.

Il suo trasferimento in Francia e il film La doppia vita di Veronica (1991) lo portano a intraprendere un percorso di narrativa sensoriale, nel corso del quale ripropone temi già trattati in opere precedenti come la sfida della vita, la morte e la colpa. Potremmo definire questa pellicola come un’opera ponte tra la fase francese e quella polacca. In questa nuova stagione cinematografica i presentimenti, i sogni, la doppiezza e le relazioni innominabili e irrazionali diventano gli stratagemmi privilegiati di Kieslowski per poter evitare le censure dell’allora Polonia comunista. La doppiezza di Veronica rappresenta la doppiezza del regista stesso che sfida la contingenza della storia e delle leggi annesse per riuscire a narrare due vicende parallele pur lontane nello spazio e indipendenti l’una dall’altra.

L’idea che Kieslowski ha della realtà e dell’Europa viene coronata nella trilogia finale di film che rispecchiano i colori della bandiera francese (Tre colori – Film blu, Film bianco, Film rosso) e che risultano legati da una sola scena comune: una donna di fronte a un bidone per riciclare il vetro. Ecco l’Europa, rappresentata attraverso un contenitore di vetro, corredata dei suoi ideali di libertà, uguaglianza e fraternità che spesso vengono meno. Stile enigmatico? No, impercettibile escamotage per narrare ciò che doveva essere taciuto.

Valeria Fumagalli