Sa raccontare molto bene sia il proprio che il nostro quotidiano, non sa se credere alla NASA e odia un po’ Keplero, è di Bassano del Grappa ed è giovanissimo. Lvca colora scrittura e beat di leggerezza e stati d’animo condivisi e parla alle stesse frequenze del suo pubblico. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui in attesa di vederlo live il prossimo 11 dicembre, grazie alla rassegna BREAK del Circolo Ohibò di Milano.

Andiamo dritti al punto. Il tuo sound è un bel mix tra it pop e hip hop, i tuoi versi sono ancorati alla realtà, al quotidiano di tutti noi, ma con una buona dose di ironia, di fantasia e umorismo che fanno sospendere anche un po’ i piedi da terra. Come accade tutto questo?
Per risponderti al meglio alla domanda posso dire che non c’è nessun segreto, se non il modo che ho di metabolizzare quello che vivo, nel quotidiano, all’esterno e all’interno di me attraverso questo metodo di scrittura che mi viene spontaneo poiché sono riuscito solo poco tempo fa a capire veramente come funzionava questa metabolizzazione al mio interno.

Quando hai deciso di volere fare musica e qual è stata la tua prima soddisfazione nel mondo artistico?
Decisi insieme a un mio amico, all’epoca io e lui siamo stati gli unici nella mia città a frequentare gli ambienti in cui l’hip hop era ancora presente, anche se non come descrivevano i pionieri. Ho iniziato con le tag, il freestyle e poi con la musica rap, avevo quindici o sedici anni ed era il periodo più bello che ricordo. La prima soddisfazione in termini musicali arrivò un po’ più avanti, quando Giada Mesi mi chiamò ed iniziai a lavorare per e con loro nella realizzazione dei brani.

Nome di almeno un artista con cui vorresti collaborare anche domani. Da chi vorresti ricevere una telefonata che riservi una bella proposta?
Marracash e Franchino. Mi è piaciuto molto il disco di Marracash, e ritengo che Stanza Singola di Franchino sia il disco uscito quest’anno che potrà essere ritenuto un classico nel futuro.

Quali senti che siano le tue radici musicali? In che cosa pensi abbiano contribuito o stiano contribuendo a farti crescere come artista?
Le mie radici vengono dal rap sicuramente, ma ho ascoltato ogni genere di musica, o quasi, suono il pianoforte, e mi piace molto anche suonare la chitarra, diciamo che suonare gli strumenti mi piace molto. penso che molti dischi soprattutto quelli classici dell’hip hop italiano mi abbiano cambiato, anche se ero solo un ragazzino a volte riascoltarli dà un bellissimo effetto.

Dove scrivi meglio? Quanto è importante l’ambiente circostante per la tua musica?
È importante ma non indispensabile, scrivo molto meglio a casa, chiudo ancora la porta per far sì che mia madre non mi senta, e penso che questa sia la situazione ottimale in cui posso scrivere, a volte però ho notato che anche all’esterno riesco a captare e buttare sul foglio delle cose molto diverse che non avrei mai scritto restando in cameretta.

Quali elementi imprescindibili deve avere un testo perché per te possa uscire?
Io sono abbastanza critico, ma penso che ogni canzone debba avere un contenuto, una passione, un sentimento che ad un artista completo questi elementi dovrebbero fluire involontariamente, perché sono requisiti che io, personalmente, ritengo necessari per la realizzazione di una canzone.

Che cosa ne pensi della scena musicale italiana attuale? C’è qualcosa che vorresti cambiare nel modo in cui girano le cose nell’industria musicale o ne sei soddisfatto?
Ne sono molto soddisfatto, e devo dire che ultimamente il mercato ha sfornato artisti molto interessanti. Una cosa che vorrei che ci fosse però è una maggiore unione tra artisti più affermati e meno affermati, nel tour che abbiamo fatto quest’estate è una cosa che ho visto poco.

Aspirazioni e obiettivi più vicini?
Pensiamo a fare il nostro, come abbiamo sempre fatto, continuare con la strada intrapresa senza fissare obbiettivi irraggiungibili o troppo lontani, penso che questo sia fondamentale nel futuro.

Valeria Bruzzi