Un universo ovattato e accogliente fatto di indie e pop, di voci delicate, di ritornelli che ti si piantano in testa, di racconti che si disvelano lentamente. Questo è l’immaginario di Moquette di Laila Al Habash, uscito il 26 febbraio per Undamento con le produzioni di Stabber e Niccolò Contessa, che donano al lavoro toni a tratti morbidi, a tratti grezzi. Toccando vari tasti sonori ed emotivi – incluse quelle emozioni più scomode di cui tendiamo a non voler parlare -, l’album ci fa capire a pieno chi è Laila, cantante italo-palestinese che dal suo esordio è considerata la “next big thing” da tenere d’occhio. Per questo, abbiamo deciso di farci una chiacchierata direttamente con lei, che ci ha raccontato tutto del suo universo, inclusa la sua ormai nota passione per Raffaella Carrà.

Ciao Laila! Sei nata a Roma e cresciuta sul Grande Raccordo Anulare: cosa ti lascia a livello artistico un contesto così vasto, caotico e coinvolgente?
Ci sono lati positivi e negativi. Un lato negativo è la ruggine che c’è nelle dinamiche della città, che non la fa muovere e che, dopo un po’, non fa muovere più neanche te. Un lato positivo è il sole, le ottobrate, l’umorismo romano così estemporaneo che, volente o nolente, ti porti sempre appresso.

Quale delle tue canzoni sceglieresti per descriverti a chi non ti conosce?
Potrei rispondere Flambé, ma forse perché è quella che ho scritto più di recente. Ogni volta che scrivo una canzone dico “ah, questa sono proprio io”, poi cambio idea e con quella dopo ricomincio tutto da capo.

Ascoltando Zattera e Rosé (in collaborazione con Tatum Rush) si avverte subito una forte ispirazione R&B in stile Kali Uchis. Mentre il tuo EP Moquette è più vicino alla nuova scena itpop. Pensi ci sarà spazio in futuro per nuove contaminazioni di generi nella tua musica?
Certo, la contaminazione c’è sempre stata, è naturale e sono certa continuerà. La contaminazione è ciò che rende interessante fare e ascoltare musica, secondo me. Come in tutto, vado a periodi, in certi momenti ho ascoltato molto hip-hop, in altri più indie; ultimamente sto ascoltando tantissimo Amanda Lear e le chanson di Gainsbourg.

Hai un particolare momento o contesto in cui ti metti a scrivere i testi delle tue canzoni?
Sì, decisamente. Di recente ho imparato che in studio o comunque nelle fasi di composizione dei pezzi per me è importantissima una cosa molto banale: vestirsi comodi, che poi innesca una serie di reazioni a catena. Negli ultimi tempi per me una canzone nasce se c’è comfort, che è prima di tutto una condizione mentale. Io devo stare a mio agio con quello che scrivo.

Com’è nato il sodalizio artistico con Stabber e Niccolò Contessa?
Stabber ed io facciamo musica insieme da quando ho 17 anni. Lui è un produttore incredibile, quando mi ha preso sotto la sua ala mi ha insegnato un sacco di cose, anche fuori dalla musica. Con Niccolò Contessa invece ci conoscevamo solo di vista, anche se da molto tempo. Io l’ho sempre stimato tantissimo come musicista e quando mi ha chiesto se mi andava di collaborare insieme a un progetto non mi sembrava vero. Mi reputo piuttosto fortunata ad aver incontrato entrambi.

Oltre alla musica, cosa ti fa stare bene?
L’astrologia, il cioccolato, il vino rosso e le persone schiette.

E aggiungerei Raffaella Carrà. Com’è successo questo colpo di fulmine?
Mi piace talmente tanto che c’è pure lei sulla copertina di Moquette! Non me lo ricordo neanche com’è nata la mia fissa per lei, mi fa sempre sorridere come tutti notino questa mia passione; per me ormai è così insita dentro la mia personalità che non ci faccio neanche più caso.

Le ultime cinque canzoni che hai ascoltato?
Sono in treno, quindi sto ascoltando la mia playlist dell’ultimo periodo: Follow Me – Amanda Lear, L’anamour – Serge Gainsbourg, La musica è finitaOrnella Vanoni, Lucy Venerus, Too GoodArlo Parks.

Matteo Squillace