Voce, chitarra e autore dei pezzi nei Chewingam, Giovanni Imparato si è ora inoltrato in un progetto solista dal nome Colombre, uscendo lo scorso 17 marzo con il suo primo disco, Pulviscolo, anticipato dal singolo Blatte feat. Iosonouncane. Sonorità dream-pop e testi viscerali sono il marchio della sua nuova estetica. Ma non vi diciamo altro: il resto ce l’ha raccontato direttamente Giovanni quando l’abbiamo incontrato a Le Mura di Roma in occasione del release party del suo album. Con un sorriso spontaneo, molta simpatia e grande umiltà ci ha spiegato tutto ciò che c’è da sapere sul suo nuovo progetto.

Il tuo nome deriva dal Colombre di Dino Buzzati, giusto? Quale legame intercorre tra quel racconto e i tuoi brani? Perché è evidente un’assonanza di atmosfere per l’aura sognante, principalmente dreamy e psichedelica, dei tuoi pezzi.
In realtà c’è un po’ di più. Il Colombre è un mostro dei mari che, secondo la leggenda, presceglie qualcuno per perseguitarlo tutta la vita e portargli grande sventura. In questo caso la vittima è un giovane marinaio, che dopo essere diventato un grande comandante deciderà di affrontare il mostro, dal quale era incuriosito ma anche impaurito a causa dei racconti del padre. Quando in punto di morte il protagonista riesce ad affrontarlo, il Colombre inaspettatamente gli dona la perla del mare. Il racconto si conclude con il ritrovamento dello scheletro del marinaio incastonato negli scogli accanto a una grande pietra bianca. Così, proprio quando stavo pensando a un nome che potesse essere adeguato al mio nuovo progetto, mi sono imbattuto in questo racconto, e ho pensato che Colombre fosse perfetto: oltre a richiamare l’unione tra il colore e le ombre (Col-ombre), l’ho sentito mio e, soprattutto, molto vicino a quello che avevo scritto. Poi, se c’è anche tutta la psichedelia di cui parli tu, in riferimento al fatto che il mostro è qualcosa di pazzo, ben venga. È stato difficile trovare il nome giusto, ma le cose giuste sono proprio quelle che saltano fuori in modo molto naturale. Per lo meno, a me è andata così.

A proposito della tua passata esperienza in un gruppo in confronto a questo tuo primo progetto solista, che cosa ci puoi dire della differenza tra le due modalità di fare musica? Che cosa ti porti dietro e cosa invece stai vivendo di completamente nuovo? Si può notare anche una svolta stilistica in questo tuo passaggio, ovvero un’attitudine più spiccatamente dream pop rispetto a prima. Come mai?
Le cose sono cambiate non tanto a livello pratico e di realizzazione, perché anche prima scrivevo i pezzi da solo, li arrangiavo e poi insieme ai ragazzi aggiungevamo delle cose, quanto piuttosto a livello mentale: ora non posso più nascondermi dietro ad altri, sono da solo e non ho scuse. Anche dal punto di vista musicale e dei testi, quindi del risultato finale, sono cambiate tante cose, perché con i Chewingam ero inglobato in un’estetica precisa che avevamo costruito nel corso degli anni. Invece ora avevo proprio bisogno di mettermi a nudo davanti allo specchio. Comunque, penso che Colombre sia la naturale evoluzione di quello che ho sempre fatto prima, solamente che ora presento la mia musica sotto un’altra veste e, soprattutto, con una consapevolezza diversa. Con i Chewingam è dal 2005 che suono, quindi ho tanti anni di esperienza alle spalle. Ho capito di aver bisogno di intraprendere una nuova strada anche dai pezzi, che non erano più adatti per essere suonati con quell’estetica e avevano bisogno di essere trasformati.

So che hai scritto gli arrangiamenti, le parti di basso e batteria sono state suonate da tuoi collaboratori e al disco hanno preso parte alcuni ospiti. Come hai gestito queste diverse collaborazioni? Quanto controllo hai esercitato sulle parti suonate dagli altri?
Sì, io ho il controllo nel senso che mi piace scrivere le canzoni e arrangiarle, mi diverto proprio. Questo disco l’ho arrangiato fondamentalmente da solo con una batteria elettronica, però per registrarlo l’ho provato con mio fratello alla batteria e Carta, che suonava con me, al basso; quindi Carta ha suonato le parti che avevo scritto e mio fratello l’ha seguito con la batteria ampliando la scrittura: si è creata quella miscela che hai solo quando suoni insieme, una cosa matta che ci ha portato a fare poche prove perché non volevo che la parte invecchiasse. Anche se avevo sotto controllo gli arrangiamenti, volevo che la suonata fosse il più vera possibile. Quindi abbiamo registrato con Fabio Grande e Pietro Paroletti alla Sala Tre de Gli Artigiani Studio senza click, senza cuffie, per far sì che emergesse questa urgenza.

Per quanto riguarda il singolo Blatte feat. Iosonouncane, com’è nata questa collaborazione?
È nato tutto in maniera naturale. Insomma, non ho scomodato dei manager per avere il suo consenso e la sua disponibilità. Io e Jacopo ci conosciamo già da un po’ di tempo, c’è molta stima reciproca, abbiamo suonato insieme e passato intere serate a parlare di musica. Così, a un certo punto, gli ho fatto sentire Blatte, che gli è piaciuto tantissimo e ha voluto collaborare. Anche lui è uno che va a feeling. Allora, dopo che gliel’ho inviato, lui mi ha rimandato il pezzo con l’aggiunta di cori pazzeschi e di altri elementi che hanno creato ancora di più il soul che volevo. Gli ho lasciato completamente carta bianca perché mi fido talmente tanto del suo gusto musicale che ero certo che avrebbe capito cosa serviva per colorare e dare più compattezza al brano.

E a livello di tempistiche, quando è nato il brano rispetto al resto del disco?
Quando l’ho contattato avevo già pronto un demo, gliel’ho fatto sentire e gli è piaciuto. Per questo il pezzo si inserisce bene nel disco.

Mentre il titolo e i testi come nascono?
Sono tutte delle microparticelle. I testi parlano di cose che sono successe negli ultimi tempi a me o a persone che mi sono intorno. Quindi ho scelto Pulviscolo perché le storie di cui parlo sono come il pulviscolo, che c’è sempre, ma lo vedi solo se ti concentri bene. Queste storie per me erano molto importanti, perché mi hanno circondato e le ho sentite: valeva la pena raccontarle, anzi, ne sentivo proprio la necessità. I testi parlano di eventi veri, di cose che molto banalmente possiamo vivere tutti. Chi è che non ha un amico che sbrocca? Che a un certo punto prende delle decisioni sbagliate? Col senno di poi ragioni, a freddo, e pensi che tutti possono provare queste cose, ma non è stato un album costruito per fare in modo che piacesse: non me ne frega nulla, volevo solamente realizzare un progetto e liberarmi di queste storie. Alcune delle cose di cui parlo si sono verificate proprio negli ultimi due anni: i testi sono nati in maniera naturale, velocemente e spontaneamente. C’è solamente un pezzo che è un ricordo di cose passate, Bugiardo. Sai, a volte il testo e la melodia ti vengono subito, mentre altre volte sudi per trovare la melodia e quando poi devi andarci a montare il testo non sei ispirato e fai dei pezzi che non saranno mai buoni. Alcuni brani di Pulviscolo sono nati spontaneamente, nel caso di altri, invece, avevo la melodia e ho aspettato il momento giusto per far sì che i testi si creassero con naturalezza: avrei potuto pensarci mesi, ma sarebbe venuta fuori una schifezza. Magari anche adesso lo è, ma a me piace.

Niccolò Pagni e Benedetta Pini