Voto

8

Se parlare ancora una volta di redenzione in modo al contempo originale e realistico è difficile quanto calcolare la cottura di un dolce a più strati, allora Il sapore del successo può essere paragonato ad un soufflé ben cotto e corredato da Jamie Oliver.

La lista degli ingredienti che rendono il cooking drama diretto da John Wells una delizia cinematografica parte dall’incredibile spessore umano del protagonista Adam Jones: uno chef tormentato per tutta una vita dal complesso della rockstar. A interpretarlo è uno splendido Bradley Cooper che, migliorando di ruolo in ruolo, pare avidamente a caccia del sospirato Academy Award. Menzione speciale anche a Riccardo Scamarcio, che riesce a uscire dagli schemi tipici del cuoco galeotto di origini italiane alla chef Rubio, muovendosi con disinvoltura in una pellicola internazionale.

Adam, all’apice della propria carriera dopo anni a caracollarsi da un eccesso all’altro, cerca ora una redenzione, e vuole guadagnarsela con fatica grazie ai propri piatti che, onnipresenti nelle inquadrature strette, sono il mezzo per ottenere quell’agognata stella Michelin metafora del riscatto di una vita scivolata nel degrado. Una degenerazione che, però, non ci viene mostrata, proprio perché ininfluente: il passato è solo accennato, e non riesce a prevalere sul presente, unica vera dimensione che il regista decide di mostrarci.

Il sapore del successo è un film di un’eleganza minimalista, in cui i personaggi e le situazioni vengono esaltate proprio dalla semplicità del loro contorno: fronzoli estetici ed emozioni patetiche non trovano spazio all’interno della vicenda dello chef americano. La commovente storia di Adam verso la riconquista della fiducia nel prossimo si dipana, infatti, in scenografie estremamente pulite, concentrate principalmente nella cucina in cui si incontrano i personaggi. Sobrietà è la parola d’ordine di Wells, e l’eleganza influenza persino le particolari scelte cromatiche che attraversano sfumature sempre molto fredde, dal bianco abbacinante delle divise al grigio ferreo dei forni.

Gloria Venegoni