Recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna, Il Gabinetto del dottor Caligari (1920) farà ritorno sul grande schermo il 15 febbraio grazie al progetto “Il Cinema Ritrovato” atto a favorire l’incontro – e l’innamoramento – del pubblico con i grandi classici del cinema presentati nella loro migliore veste.

È il 1918: la Prima Guerra Mondiale batte finalmente gli ultimi colpi, ma la sua ferocia ha lasciato dietro di sé squarci insanabili negli animi di chiunque vi abbia preso parte. Robert Wiene, un giovane ex ufficiale di origine ceca, si ritrova a Berlino senza progetti né speranze e qui incontra lo sceneggiatore Carl Mayer; insieme scrivono la sceneggiatura di un film destinato a cambiare le sorti del mondo cinematografico. Convogliano in quelle pagine tutto l’orrore di cui sono stati spettatori e interpreti, dando vita a Il Gabinetto del dottor Caligari (1920), il vero gioiello del cinema espressionista tedesco che, seppure meno noto del fratello minore Metropolis (1927), racchiude già in sé quel magma rovente di inquietudini, amore, paura e oscurità che l’intero movimento artistico donerà in eredità alla storia del cinema.

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Sulla panchina di un parco un giovane racconta al suo anziano interlocutore la storia di quanto gli è accaduto tempo prima. Lo spettatore viene portato indietro nel tempo insieme all’ascoltatore, e vede comparire la figura di Caligari, un imbonitore che intende esibire alla fiera locale il sonnambulo Cesare. Segue una serie di efferati e misteriosi delitti che, dopo una breve indagine, il protagonista scopre essere stati opera di Caligari, il quale si serve di Cesare per compiere gli omicidi. Durante l’inseguimento del criminale il giovane raggiunge un ospedale psichiatrico del quale scopre essere il direttore proprio Caligari, che viene subito smascherato e  incarcerato. Terminato il suo racconto il protagonista, con un’agile capriola narrativa, si rivela essere un degente dello stesso ospedale, gestito da un uomo identico a Caligari ma dai modi molto più calmi e pacati. Il giovane tenta così di aggredirlo invano e viene subito imprigionato. L’inquadratura a iris più lunga del necessario sullo sguardo finale del direttore rompe quella che sembrava una logica narrativa lineare, innesca nuovi dubbi su ciò che è accaduto e rende fragilissimo lo statuto di verità di quanto è stato raccontato.

Il film si muove, infatti, in direzione di una decostruzione sistematica del concetto di verità: intende smascherare la problematicità e l’ambiguità irrisolvibile del reale ponendosi ai margini della ragione, in quel territorio inesplorato e selvaggio che è l’inconscio dell’uomo, fatto di paure e inquietudini, in cui tutto è distorto, mascherato. La razionalità, così, si smarrisce nel flusso ossessivo del ricordo, della morte e della colpa.

Siamo agli inizi del ‘900, anni in cui il panorama culturale europeo è dominato dagli studi psicanalitici di Freud e dalle riflessioni nichiliste di Nietzsche, che collaborano a mettere in crisi i concetti di realtà e di individuo, le basi portanti del sistema ideologico positivista ereditato dall’’800. L’uno frantuma l’unitarietà dell’uomo spalancando i profondi abissi dell’inconscio, l’altro fa sprofondare l’umanità nell’orrore e nell’angoscia di un mondo senza senso.

caligariCaligari fa entrambe le cose. Le frequenti soggettive, le inquadrature a iris che stringono sui volti dei protagonisti e i primissimi piani sui loro sguardi creano una tensione ermeneutica che dissolve i soggetti e disgrega l’apparente razionalità del loro ruolo: gli stessi personaggi presentano identità diverse a seconda della verità che si decide di accettare di volta in volta. Caligari, Cesare e il giovane protagonista diventano così fantasmi, creazioni della fantasia, e perdono la loro coesione di individui, insidiati dall’angoscia del perturbante, dal ritorno di un elemento psichico rimosso ma da sempre familiare. Ne La gaia scienza Nietzsche scrive: “qui tutto è apparenza e fuoco fatuo e danza di spiriti e niente di più; e tra tutti questi sognatori anch’io, l’uomo della conoscenza, danzo la mia danza…”. Caligari danza la danza degli spiriti e dissolve la realtà in un orizzonte visivo irreale, illusorio e ingannevole. Tutto è apparenza: i riferimenti dati allo spettatore vengono continuamente smentiti e amplificano la distorsione del reale tanto con il gioco di luci e ombre quanto con l’effetto allucinatorio delle scenografie, dipinte dagli esponenti della corrente espressionista Die Brücke, che sussurrano artificiosità e antinaturalismo.

Il gabinetto del dottor Caligari è un film enigma che assume l’ambiguità come condizione esistenziale dell’uomo: lo spettatore deve rinunciare a comprenderne il messaggio contraddittorio, sospendere il suo giudizio e solo allora accettare l’impossibilità della verità insieme alla natura potenzialmente demoniaca di ogni uomo. Dopotutto, siamo nella Germania degli anni ’20, e non passerà molto tempo prima che un altro burattinaio, forse il più grande che il mondo intero abbia mai conosciuto, faccia la sua comparsa sulla scena, ma questa volta soggiogherà un’intera nazione, sonnambula.

Giorgia Maestri