Voto

7.5

17 luglio 1994, Italia-Brasile, finale del campionato mondiale di calcio. Roberto Baggio ha tra le mani il pallone, lo posa sul dischetto del rigore, prende la rincorsa e calcia. Sappiamo come andò a finire. Il Divin Codino (2021) di Letizia Lamartire, disponibile su Netflix, è un biopic sulla vita del calciatore veneto che, procedendo per salti temporali, ruota intorno a quel maledetto rigore, restituendo alcuni dei momenti più importanti della vita di Baggio, come gli infortuni, la virata buddista e il rapporto con gli allenatori. Il percorso di Roberto Baggio, interpretato da Andrea Arcangeli, viene infatti raccontato attraverso alcune delle principali tappe calcistiche che ha dovuto affrontare: le maglie del Vicenza, della Fiorentina, della Nazionale e del Brescia, rispettivamente la prima squadra, l’infortunio, la Serie A, la chiamata della Nazionale e la rivincita personale con l’aiuto dell’allenatore Carlo Mazzone.

Ma il film sottolinea soprattutto ciò che è avvenuto fuori dal rettangolo di gioco, rendendo una leggenda dello sport una figura umanamente più tangibile e più vicina allo spettatore. In un certo senso la stessa cosa che è accaduta nella realtà: la sorte avversa degli infortuni ha creato un’armonia con le persone e i tifosi che hanno potuto godere delle sue prodezze, trasformando il puro talento in umana normalità. Il rapporto con il padre, l’appoggio fondamentale della moglie, l’avvicinamento al buddismo, il rapporto con Sacchi, Trapattoni e Mazzone e il punto di rottura psicologia a causa del rigore sbagliato costituiscono i punti cardine della narrazione. Le mancate immagini e video di repertorio – il vero Roberto Baggio non compare mai nelle scene – restituiscono una trama filmica ideale per concentrarsi totalmente sulla ricostruzione della storia, dove emerge l’allontanamento della regista dai luoghi comuni del genere calcistico.

Il fallimento di quel rigore, quello del 1994, è ancora oggi per Baggio un chiodo fisso. Un ricordo scalfito nella memoria che non riesce a eliminare. Perché uno dei calciatori più importanti della storia del calcio ha sentito così tanto il peso di quel fallimento? Letizia Lamartire ovviamente non può rispondere a questa domanda con il film, ma riesce a far sintonizzare lo spettatore sull’onda emotiva di quello che ha provato il “Divin Codino” con i suoi fallimenti e i suoi successi. Il campionato mondiale di calcio del 1994 però non si limita alla sfera sportiva e degli appassionati. È stato qualcosa più forte di un’illusione. Gli strascichi di Tangentopoli prima e la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi poi, avevano fornito un pericoloso equilibrio tra la rabbia e l’apparente ottimismo di quegli anni – conclusa come il rigore, una parabola politica disastrosa. In altri termini, la nazionale di calcio sembrava una valvola di sfogo perfetta per dimenticare quel periodo: purtroppo questo peso è salito proprio sulle spalle di Baggio che ha sentito e pagato a sue spese la disfatta. Razionalmente, non bisogna dimenticare che senza di lui, l’Italia non sarebbe mai arrivata in finale – forse neanche ai quarti.

Avevamo già discusso con la serie Tv Netflix The English Game (2020), di quanto possa essere difficile riprodurre il realismo di una partita di calcio. Per fortuna, in Il Divin Codino, le prodezze di Roberto Baggio sono state riprodotte in minima parte e con una patina vintage, così da non ledere la visione degli appassionati di calcio. Un modo astuto per rompere lo stereotipo dei film sportivi e lasciare spazio allo slow motion solo in alcune scene, quelle dei ricordi dell’infanzia e dei sogni/incubi. Il Divin Codino prova a raccontare le gesta di Baggio in un modo che finora non è stato possibile leggere sulle pagine dei giornali o guardare nei programmi televisivi. Cerca di andare più a fondo e non limitarsi alla superficie, quella vista sul rettangolo di gioco, provando a restituire qualcosa di inedito sul Baggio uomo e non solo calciatore. Un modo per continuare, e ricordare, la lunga storia di una leggenda che dopo l’ultima partita, il 16 maggio 2004,  ha deciso di abbondare definitivamente il mondo del calcio e soprattutto i suoi riflettori: troppo incoerenti e subdoli per lui.

Alessandro Foggetti