Voto

8.5

Il maestro cinese Jia Zhangke torna a raccontare il proprio Paese e le trasformazioni che ha attraversato nell’ultimo ventennio. Il film, tripartito come lo era Al di là delle montagne (2015), segue la storia d’amore di Qiao e Bin attraverso i tempi e i luoghi della Cina continentale, dalla Datong del 2001, nel pieno della crisi mineraria che ha segnato l’impoverimento dell’intera regione dello Shanxi, alle turbolenze legate alla costruzione della diga delle Tre Gole che nel 2006 ha portato allo sfollamento di oltre un milione di abitanti. Si tratta di eventi e circostanze che Zhangke ha già trattato in passato, nel corso di una filmografia volta ad osservare l’intero quadro socioeconomico di cui questi sono solo esiti simbolici.

I figli del fiume giallo, infatti, prende vita proprio dalla parziale rielaborazione di materiale girato e poi escluso in fase di montaggio prima da Unknown Pleasure (2001), poi dal Leone d’oro Still Life (2006); una rielaborazione di cui il contrasto tra le immagini lo-fi delle sequenze iniziali e quelle ad alta definizione delle sequenze finali porta evidente traccia. La protagonista è sempre la stessa: moglie e musa del regista, Zhao Tao attraversa i diciassette anni intercorsi tra un film e l’altro con grazia e compostezza estreme, che regalano alla sua interpretazione un’intensità commovente.

La traduzione letterale del titolo originale “figli di Jianghu” svela l’ambiguità su cui si regge: il termine jianghu indica il fiume che Quiao attraversa per ricongiungersi con Bin, ma fa anche riferimento a quella particolare sottoclasse sociale nata in seno alla Cina rurale che oggi identifica per lo più bande di criminali e fuorilegge. È proprio a questo tipo di comunità, infatti, che Qiao e Bin appartengono: la jianghu li possiede, li condanna e li attrae fatalmente a sé. Anche quando i due penseranno di essere riusciti a cambiare vita, questa li ricondurrà di nuovo a Datong, di nuovo in quell’incrocio stradale che diciassette anni prima aveva segnato la loro disfatta e che ora – così come i protagonisti che lo attraversano – porta i segni di una trasformazione fatale e irreversibile. Un toccante percorso circolare attraverso la Cina contemporanea che abbraccia in sé l’intero percorso artistico del regista.

Giorgia Maestri