Giunto alla quarta edizione, dal 20 al 23 aprile è tornato a Milano I Boreali, il più grande festival italiano dedicato alla cultura nordeuropea organizzato dalla casa editrice Iperborea, che ne ha curato ogni aspetto, dalla selezione cinematografica a quella letteraria e con qualche pillola di filosofia. Oltre alla selezione cinematografica, sono stati proposti numerosi incontri con eterogenei esponenti della cultura italiana e nordica, tra cui importanti pensatori e scrittori, ma anche esperti di storia, letteratura e cinema. Tra le diverse location milanesi che hanno ospitato questo interessante festival, spicca il Teatro Franco Parenti, meta per tutti i cinefili interessati a sperimentare un genere cinematografico molto particolare e di rado presentato nelle sale italiane.

Oltre alla proiezione in anteprima di due lungometraggi  – Victoria di Torun Lian (Norvegia, 2013) e Miss Julie di Liv Ullmann (Svezia, 2015) – l’edizione di quest’anno ha proposto un’interessante selezione di corti che, sebbene eterogenei in quanto a stile e tecnica di realizzazione, riescono ad orientare l’attenzione dello spettatore su temi comuni e quanto mai attuali. Così, se As we existed di Ragnheidur Gestdottir (Islanda, 2010) si interroga sull’identità dell’artista in un mondo cinico in cui alla creatività è lasciato ormai ben poco spazio, The man in Background (Norvegia, 2006) e Stalin by Picasso or portrait of a woman with moustache (Norvegia, 2008) di Lene Berg, invece, analizzano il potere manipolatorio della parola e lo statuto sempre inafferrabile della verità. Menzione d’onore spetta a Take off di Gunvor Nelson (Svezia, 1972), pioniera del cinema sperimentale svedese, che esplora senza veli i cliché legati all’universo femminile.


Victoria
, Torun Lian (Norvegia, 2013)

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Tratto dal romanzo omonimo di Knut Hamsun, il film propone un’avvincente storia d’amore tra la giovane e agiata Victoria e Johannes, figlio di un mugnaio diventato scrittore. La pellicola si concentra sul vissuto psicologico dei due protagonisti, incapaci di comunicare spontaneamente fra loro a causa delle rigide norme sociali che sembrano controllare completamente le loro vite. Si sottolineano così alcuni temi fondamentali della letteratura e del cinema nordeuropeo: ad esempio, la volontà di proporre personaggi psicologicamente verosimili e complessi, spesso ostacolati nel tentativo di soddisfare i propri e altrui desideri e portati alla rovina proprio dal loro insuccesso. È proprio per questo motivo che le vicende di Victoria e Johannes riescono a toccare il pubblico che non resiste alla commozione di fronte ai loro vani tentativi di raggiungere la felicità. Torun Lian riesce dunque nell’intento di trasporre cinematograficamente il tragico romanzo di Knut Hamsun con un pathos presente ma trattenuto, privo di una qualsiasi valvola di sfogo e per questo ancor più incalzante, che troverà il suo culmine solo nel finale. Alla continua tensione interiore dei protagonisti si contrappone un paesaggio tipicamente nordico, caratterizzato da ampi spazi, freddi e desolati, come se la natura procedesse immutabile e indifferente rispetto alle sofferenze umane.


Miss Julie
, Liv Ullmann (Svezia, 2015)

Miss Julie è il nuovo impegno registico della norvegese Liv Ullman che, dopo essere stata a lungo musa e compagna del grande Ingmar Bergman, lavora a un nuovo adattamento de La Signorina Julia, una delle più celebri opere teatrali di August Strindberg, noto drammaturgo svedese che insieme ad Ibsen ha gettato le fondamenta del dramma moderno. La dimensione fortemente teatrale della pellicola emerge dall’impiego di tre soli personaggi e dall’atmosfera claustrofobica dell’unica stanza che fa da teatro alla vicenda. Il dramma si consuma nell’attrazione perversa tra la giovane aristocratica Miss Julie e il servo John: i due instaurano un pericoloso gioco erotico che, attraverso monologhi sempre più disperati e nervosi, conduce a un caos finale orrorifico e omicida. Colpa, isteria e desiderio si mescolano in una tragedia fredda e bilanciata che la Ullmann sceglie di dirigere con estrema fedeltà al testo. Se Jessica Chastain è interprete straordinaria della psiche instabile e folle della protagonista, Colin Farrell invece delude con un’interpretazione sbilanciata che vede l’alternarsi di momenti sovra-recitati a lacune inespressive.

Giorgia Maestri e Caterina Polezzo