Voto

7.5

Alexandre è un cattolico appassionato felicemente sposato con cinque figli; François è un ateo convinto, anche lui sposato e padre di famiglia; Emmanuel è un ragazzo che non crede più, vive con la madre ed è disoccupato. Grazie a Dio, film del regista francese François Ozon vincitore del Gran premio della giuria al Festival di Berlino 2019, miscela le loro vite per raccontare la storia de La parole Libérée, l’associazione nata per offrire aiuto e sostegno alle vittime di abusi pedocriminali, che dagli anni ’70 al 1991 si impegnò nello specifico in un’azione contro Padre Bernard Preynat, sacerdote di una della parrocchie della diocesi di Lione. Allora era retta dal cardinale Philippe Barbarin, che pur essendo a conoscenza delle violenze non le denunciò mai. Oggi, dopo una lunga battaglia giudiziaria, Preynat è stato ridotto allo stato laicale, mentre Barbarin lo scorso 7 marzo è stato condannato in primo grado a sei mesi (con la condizionale) per aver coperto gli abusi.

Ozon prosegue idealmente la linea di “indagine sociale” antispettacolare inaugurata con Giovane e bella (Francia, 2013), in cui il tema era quello della prostituzione minorile, e la riveste con un manto di sobrietà e discrezione per accendere i riflettori su un tema che ha destato scalpore. Tanto che, fino a qualche giorno prima dell’uscita in sala del film (nel febbraio 2019), le istituzioni ecclesiastiche francesi hanno tentato di porre un veto sulla distribuzione del film, dimostrando quanto la pedofilia rappresenti ancor oggi una piaga endemica all’interno della Chiesa. 

Grazie a Dio richiama il vincitore dell’Oscar come Miglior film Il caso Spotlight (Tom McCarthy, USA, 2015), ma se quest’ultimo raccontava la vicenda dalla prospettiva dei giornalisti del Boston Globe, Ozon affida la narrazione direttamente alle vittime. Il film si presenta nella forma di un continuo flusso di coscienza in voice over, che si fa espressione tanto della necessità del racconto quanto della permanenza del senso di vergogna per aver subito qualcosa di tanto orrendo. A tenere le fila del racconto c’è una sceneggiatura solida e coerente, in grado di scavare nelle storie dei singoli protagonisti e infine ricongiungersi, delineando un percorso di formazione personale da un lato e di trasformazione della fede dall’altro, soprattutto per quanto riguardo il personaggio di Alexandre.

A differenza di Giovane e bella, la regia di Ozon risulta sospesa, interessata a indagare gli elementi scatenanti e conseguenti dell’abuso e sondare l’abisso psicologico ed emotivo del “rimosso” – un tratto che abbiamo visto all’opera in Ozon già nella Trilogia del lutto (Sotto la sabbia, Il tempo che resta, Il rifugio). Il film di Ozon diventa il miglior cinema di denuncia; mette in discussione anzitutto la questione etica: “I preti possono anche chiedere perdono, ma questo non cancella la colpa, l’errore e il reato che viene commesso. Per molto tempo la Chiesa ha gestito così questo problema, attribuendo al perdono una forza talmente grande da arrivare ad assolvere non soltanto i peccati, ma anche gli errori. Come se fosse un modo per fare giustizia. Il perdono non risolve nulla ma condanna al silenzio perpetuo le vittime”, spiega il regista. Il cinema di Ozon non gode della forza preesistente della storia, ma ne diventa potente cassa di risonanza. Grazie a Dio è un film per la Chiesa, non contro la Chiesa.

Tra i continui campo e controcampo, tra delicatezza e incisività, Ozon racconta una storia dall’indelebile impatto sociale, che mette a nudo l’uomo come vittima e come carnefice. Non a caso il titolo della pellicola ricorda la battuta infelice che il cardinale Barbarin pronunciò quando scoppiò il caso: “Grazie a Dio tutti i fatti sono prescritti”.

Davide Spinelli