Premiato con la Coppa Volpi a Venezia e ai Golden Globe per la migliore sceneggiatura originale, Gli spiriti dell’isola è l’ultimo film di Martin McDonagh (disponibile su Disney Plus): una danza dell’assurdo dal sapore beckettiano che si fa via via più frenetica, rivelando e confondendo allo stesso tempo, come un invito a mettere costantamente in discussione chi siamo e quanto dobbiamo ai luoghi e ai legami che ci plasmano.

Mentre in Irlanda imperversa la guerra civile irlandese, la vita scorre lenta a Inisherin, isola immaginaria e cornice delle vite tranquille della comunità che la abita. La decisione improvvisa e spietata di Colm, violinista e compositore in cerca di gloria, di interrompere l’amicizia con il fidato Padraic è la crepa che si insinua lentamente nella vita dell’isola, sconvolgendone silenziosamente gli equilibri. I due protagonisti, il burbero Colm (Brendan Gleeson) e il semplice mandriano Padraic (Colin Farrell), si inseguono senza sosta, l’uno sazio di tacite risposte, l’altro pieno di domande che investono tanto la comunità di Inisherin quanto quella oltre lo schermo: chi decide la fine di un’amicizia? Chi può davvero costruire la propria identità a prescindere dalle dinamiche interpersonali? I tentativi di Padraic di recuperare il rapporto con Colm, sempre più determinato a cancellarlo, coincidono con quelli del pubblico di decifrarlo, e mentre la storia si tinge di nero e di inverosimile scopriamo il mandriano in tutte le sue sfaccettature. Così, se il vecchio Colm rivela di non voler più vedere l’amico perché “noioso”, noi impariamo per contro a conoscerlo come un uomo determinato, a cui non interessa la gloria dei posteri e che non ha paura dell’oblio. Dall’altra parte, questa ritrovata volitività del mansueto Padraic provoca in Colm reazioni spietate dai contorni grotteschi e dalle conseguenze paradossali.

McDonagh contrappone così due spiriti opposti e complementari, spinti da ambizioni e paure che bucano lo schermo: chi cerca il valore della vita nella gloria che sfugge all’oblio e chi si accontenta dell’effimero e del quotidiano, riuscendo a trovare il senso dell’esistenza nelle persone e nel luogo che lo circondano, pur non sentendosi pienamente compreso da questo contesto. A mitigare l’irrazionalità di Colm e Padraic tre figure femminili che, come da copione, costituiscono gli unici punti di riferimento in una società che sta lentamente affondando. Siohban (Kerry Condon), sorella e bastione di Padraic, si divincola dalle radici che la legano all’isola e cerca nuovi mondi per plasmare la propria identità, prima nei libri e poi nel continente, lontana dagli occhi indiscreti della cittadina e dall’affezionato fratello, che in seguito alla sua partenza si abbandona al delirio. Non c’è posto per lei a Inisherin, dove il suo emergere al di fuori dei ruoli prestabiliti non è accettato: Siohban deve attraversare il mare e radicarsi nella razionalità del continente per costruire la propria identità.

Altro spirito femminile che pervade misteriosamente Inisherin, l’anziana signora McCormack sembra incarnare la folkloristica banshee irlandese del titolo originale del film (The Banshees of Inisherin). Con i suoi presagi di morte e fatalità, è accuratamente evitata dagli abitanti, eppure è lei la vera voce dell’isola, nella sua dimensione più profonda, arcaica e inafferrabile. Infine, la terza figura femmnile, nonché vera protagonista del film, è Inisherin stessa, non tanto lontana nelle sue incredibili vicende dalla guerra che anima la nazione: mentre un popolo cerca di affermare la propria indipendenza e identità, i membri di una comunità si pongono lo stesso interrogativo, si fanno la guerra, si scoprono diversi, lontani, sempre nuovi, mentre si rivelano inconsapevoli, incredibilmente umani e preziosamente irriducibili.

  Chiara De Matteis