“Ho cercato di capire se potevo trasformare La notte di Antonioni in un film muto, di capire se solo le immagini e la musica potessero restituire tutte le emozioni, tutte le sensazioni”: con queste parole Francesco Leprino ha presentato la sua rivisitazione de La notte di Antonioni (1961) lo scorso 31 maggio allo Spazio Oberdan. Per comporre questo docu-film su uno dei capolavori della cinematografia italiana Leprino non ha fatto altro che tagliare e montare le sequenze della pellicola in maniera del tutto originale.

Il “nuovo” La notte è diviso in due parti speculari e antitetiche: in Milano, esterno, giorno viene accentuata la frenesia della città attraverso interessanti frammentazioni e accelerazioni della pellicola originaria che, accompagnate dalla musica di Gaslini, trasmettono allo spettatore una sensazione di disagio coerente con il paesaggio della metropoli, labirintico e caotico; nella seconda parte, Brianza, interno, notte, l’azione si svolge in spazi all’aperto fuori città e, attraverso una sorta di lente di ingrandimento, viene indagata l’interiorità dei personaggi con un taglio più classico rispetto alla prima parte, secondo un ritmo rallentato più vicino alle forme classiche del blues e del jazz di Gaslini, musiche che trasmettono serenità e infondono un’atmosfera di festa.

la notte

Inoltre, il montaggio combina frame del film con immagini di Gaslini che suona dal vivo nello spettacolo-concerto tenutosi nel Teatro dal Verme a Milano nel 2008: “È curioso, simpatico, vedere, in alcuni punti, Gaslini che suona dal vivo e, sullo schermo Gaslini che suona nel prato cinquant’anni prima”, racconta Leprino. È interessante anche la scelta di mantenere il finale invariato dall’originale: non solo si vede la sequenza finale ma, a differenza del resto del film di Leprino, le immagini sono accompagnate dal dialogo tra i due protagonisti; uno scambio di battute spiazzante, ma non inopportuno.

Pur trasformando La notte in un film muto, il lavoro di Leprino colpisce comunque lo spettatore in profondità, a dimostrazione che spesso le parole non sono così importanti, soprattutto quando si tratta di una grande regia come quella di Antonioni, caratterizzata da una spettacolare cura delle inquadrature che, accompagnate dalla musica, riescono a rappresentano pittoricamente sentimenti in apparenza inesprimibili quali l’alienazione e l’annichilimento. Nonostante un’epoca governata dal verbocentrismo, Leprino è riuscito a confezionare una grande opera sperimentale e controcorrente senza intaccare un capolavoro.

Filippo Fante