L’8 marzo del 2008 l’artista Pippa Bacca, pseudonimo di Giuseppina Pasqualino di Marineo (nipote del Piero Manzoni autore della Merda d’artista), cominciava insieme all’amica Silvia Moro l’allestimento di una performance itinerante: un viaggio attraverso undici Paesi, dai Balcani al Bosforo fino a Gerusalemme, accomunati dal fatto di avere alle loro spalle una storia recente di guerra e violenza. Vestite in abito da sposa, con tanto di tacchi, tulle svolazzanti e coroncine in capo, le due giovani donne avrebbero dovuto attraversato da sole terre difficili, affidandosi ai passaggi e alla generosità degli sconosciuti incontrati sulla via. Il percorso prevedeva, inoltre, delle pause in cui le artiste si sarebbero fermate per lavare i piedi alle ostetriche, un gesto rituale di memoria evangelica compiuto in segno di pace, per rendere onore a chi si faceva testimone e veicolo di vita.

Il 31 marzo di quello stesso anno, proprio uno di quegli sconosciuti che avrebbero dovuto porgere la mano a Pippa ha, invece, usato quella mano per violentarla e strangolarla. La sua vita, così brutalmente interrotta, è al centro del documentario Sono innamorato di Pippa Bacca, realizzato un paio d’anni fa dal talentuoso cineasta livornese Simone Manetti, che ha utilizzato il materiale d’archivio prodotto in occasione del viaggio mescolandolo a interventi della madre, delle quattro sorelle di Pippa e di Silvia Moro, la compagna d’avventura da cui, prima di morire, si era separata momentaneamente e che avrebbe dovuto ritrovare a breve, se sulla strada non avesse incontrato il suo assassino.

Vicenda simbolo di un messaggio di pace abortito, del fallimento apparente di una lezione d’umanità e di fiducia senza pregiudizi nell’altro, la storia di Pippa Bacca si è impressa nell’immaginario per la sua valenza civile: una giovane donna, vestita di bianco, portatrice dei valori della femminilità ricettiva e pacifica, diviene vittima della sua stessa fiducia nel prossimo. La parabola di Pippa Bacca comporta anche un’altra riflessione: l’arte performativa, che rifiuta di separare l’artista dalla sua opera facendo anzi coincidere quest’ultima con la sua intera esperienza esistenziale, ha conseguenze concrete nel mondo, comporta un effettivo spostamento di energie, scatena una forza radicalmente trasformativa e sovversiva.

La performing art diviene azione sacrificale in se stessa: il corpo non è solo il veicolo per mettere in scena un turbamento, un concetto o un atto di bellezza, ma è soggetto e oggetto artistico che nella performance si consegna, anziché ritirarvisi, alla sua stessa mortalità. Consumandosi nello spazio e nel tempo della sua stessa rappresentazione drammatica, l’arte performativa non persegue infatti l’immortalità attraverso l’estensione di sé che l’artista attua tramite una sua opera da lasciare ai posteri, bensì mette in gioco l’artista stesso come e in quanto entità mortale e, dunque, esposto in qualunque momento alla fine. La scomparsa prematura e violentissima di Pippa Bacca non segna dunque il fallimento del suo messaggio umanitario, ma conferma il valore che lei stessa riconosceva all’arte: la facoltà di cambiare le cose, di smuovere le coscienze, di trasformare la vita. Anche se quella vita, che intendeva celebrare attraverso l’arte, proprio attraverso l’arte si è trasformata nel suo contrario, la morte.

Carolina Iacucci