Voto

6.5

Detroit, inizio anni ’80. Bastano queste semplici coordinate per immaginare il background socio culturale in cui si muovono i personaggi di Cocaine – La vera storia di White Boy Rick: nel pieno dell’American crack epidemic in una delle città più controverse e criminali degli Stati Uniti, nei cui sobborghi i white e black trash tentano la sopravvivenza oltre i confini di civiltà e legalità. Non spicca niente di particolarmente nuovo nella rappresentazione di un simile microcosmo – sebbene i suburb di Detroit che scorrono fuori dal finestrino dell’Imperial di Rick Sr. siano ricostruiti al meglio –, né nella parabola di rapida ascesa e ancor più rapido collasso di Richard Wershe Jr. – soprannominato White Boy in quanto unico bianco a muoversi in un mondo di neri –, una delle tante meteore che hanno saputo trarre guadagno dalla giungla narcotica di questo decennio. Ciò che è nuovo è il destino esemplare di Rick (interpretato da un giovanissimo Richie Merritt al suo esordio) : arrestato nel 1987 per possesso di droga, in seguito ad accordi poco trasparenti con l’FBI lo spacciatore allora sedicenne è stato rilasciato solo nel 2017, dopo 30 anni di reclusione.

Conseguenze tragiche di azioni mai davvero consapevoli né colpevoli: non si sa mai con chiarezza quanto il ragazzo  sia davvero cosciente della propria condotta e l’empatia a tratti suscitata dal rapporto del protagonista con il padre (Matthew McConaughey) e con la sorella (Bel Powley) è presto dissipata da un’indifferenza e una leggerezza che appiattiscono la narrazione, rendendola ripetitiva e noiosa dopo la prima metà del film. La ricaduta di Rick nel giro della droga è prosaica e incolore, l’approfondimento delle motivazioni del ragazzo e dei suoi moti interiori appena stilizzato nelle coordinate del dramma familiare in cui è immerso (tra la sorella tossicodipendente e il padre al verde) ma mai davvero esaurito. Personaggi come quello di McConaughey, della sorella e perfino dei nonni (Bruce Dern è l’agguerrito nonnino) sono ben costruiti e avrebbero meritato più libertà d’azione e interazioni più complesse con il protagonista.

Giorgia Maestri