All’inizio di The Prestige la voce fuori campo di Michael Caine prende dolcemente lo spettatore per mano e lo introduce al film. «Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti.», spiega, «La prima parte è chiamata “la promessa”. L’illusionista vi mostra qualcosa di ordinario […]. Ma ovviamente… è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato “la svolta”. L’illusionista prende qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo “il prestigio”».

Questo discorso non è altro che la chiave di lettura del cinema: data una situazione iniziale, un conflitto porta il protagonista (e con lui gli spettatori) in un vortice di peripezie e colpi di scena, ma è la risoluzione, il finale del film, ciò che fa alzare soddisfatti dalla poltrona, ed è per questo che è la parte più difficile. Se c’è un autore che eccelle nell’“arte del finale”, questi è Christopher Nolan, un cineasta capace come pochi di giocare con le aspettative del pubblico e ribaltarle completamente. Non è raro che nei suoi film ci sia un elemento che mette in discussione le certezze di chi guarda: un oggetto che assume un significato nuovo come la trottola di Inception, un desiderio che si confonde con la realtà (l’ultima scena de Il cavaliere oscuro – Il ritorno), un twist narrativo che cambia l’intera lettura del film come avviene in Memento o Interstellar o un finale sorprendente come quello di uno dei suoi primi cortometraggi, Doodlebug, in cui un uomo cerca di schiacciare uno scarafaggio con una scarpa, insegue l’insetto per tutta la stanza finché non riesce a ucciderlo ed è proprio allora che… colpo di scena!

Ma la capacità di Nolan di giocare con il pubblico si rivela anche nel ribaltamento dell’immagine con cui volti noti del cinema si sono affermati: il sorridente Robin Williams diventa un inquietante serial killer (Insomnia) e il bel Heath Ledger l’incarnazione del male. Questo gioco di prestigio è reso possibile dall’abilità del regista britannico di costruire vere e proprie macchine narrative in cui ogni minimo particolare conta, giocando con parallelismi e strutture non lineari anche molto complesse ma – pregio del grande scrittore – raccontate in modo limpido, per un pubblico disposto a lasciarsi trascinare laddove vuole l’autore, anche grazie all’abilità visiva di Nolan e alla sua vena spettacolare. Caratteristiche che, se l’hanno reso un regista molto popolare (assieme a James Cameron è l’unico ad aver diretto due film che hanno superato il miliardo di dollari di incasso) non gli hanno garantito l’amore della critica.

Ma il cinema di Nolan non è una semplice macchina per l’intrattenimento; di film in film il regista britannico ha costruito un discorso artistico coerente, e per riassumerlo occorre tornare dove siamo partititi: The Prestige. Con un mistero da risolvere, parallelismi narrativi, un montaggio alternato da decodificare, una struttura non lineare e colpi di scena a catena, The prestige è una pellicola à la Nolan al cento per cento. Eppure, ogni sorpresa è una delusione. Quando il film scopre le proprie carte rivela misteri e plot twist che sembrano partoriti da uno sceneggiatore di serie B a corto di idee. La spiegazione di questo paradosso va cercata nelle parole di John Cutter (Michael Caine): nonostante cerchi sempre di indovinare come andrà a finire un film, il pubblico in realtà non vuole davvero rompere la trappola che l’autore gli tende; chi guarda un film vuole solo essere trascinato da una storia che lo faccia emozionare, soffrire e trattenere il fiato.

E così il finale è importante non tanto perché è una sorpresa, ma perché è il coronamento di questo percorso di sofferenza e redenzione. Da sempre l’umanità ha bisogno di raccontarsi delle storie, miti e leggende sono il fondamento di ogni cultura: osservare un personaggio mettersi in discussione, affrontare delle difficoltà e vincere le proprie paure permette di fare esperienza del dolore per interposta persona, senza passare attraverso le sofferenze che la vita esige. Si tratta di un punto centrale della poetica di Nolan, i cui personaggi spesso costruiscono un mondo fittizio per proteggersi da quello reale; ma quando si cerca di portare la realtà nella finzione il prezzo da pagare è altissimo, come dimostra The Prestige. E per questo motivo il pubblico chiede di essere ingannato, vuole vivere quella bugia bianca che non solo non fa male, ma può migliorare la propria vita.

Il prossimo 31 agosto il regista inglese porterà sul grande schermo il suo ultimo lavoro, Dunkirk, un dramma storico sul contingente inglese che all’inizio della seconda guerra mondiale si ritrova bloccato sull’ultima spiaggia della Francia, senza possibilità di fuga e assediato dagli eserciti di Hitler. Mentre la critica internazionale saluta già Dunkirk come un capolavoro, come se la caverà il maestro della finzione alle prese con la Storia?

Francesco Cirica