Voto

8

Nonostante non siano trascorsi i “centomilacinquecentoventicinque anni” stimati dal frontman Francesco Bianconi nel lontano 2003, La moda del lento sembra aver fatto ritorno: i suoni 80s del secondo album in studio dei Baustelle ricompaiono, ma trasfigurati, nella loro ultima fatica discografica.

Nostalgici e sublimi come Il cigno di Baudelaire, i Baustelle costruiscono i loro paesaggi sonori tra le rovine di un’epoca ormai passata. Attingendo dal proprio inconfondibile repertorio, il gruppo crea una meravigliosa sovrapposizione di quattro distinte ere musicali: le musiche ispirate alle colonne sonore dei polizieschi all’italiana degli anni ’70 e il basso funky dei Calibro 35, il synth-pop di Kraftwerk, Ultravox e Pet Shop Boys, l’elettronica raffinata di Battiato, il britpop dei Pulp, l’electropop e le atmosfere soffuse degli Air di Moon Safari (1998), sonorità prese in prestito da La moda del lento (2003) e La Malavita (2005).

I suoni di plastica su cui si sviluppano le incantevoli melodie vocali, scheletro sonoro del disco, sono ciò che meno ci si aspettava dopo l’ultimo Fantasma (2013). Lungo il percorso ascensionale che contraddistingue la carriera dei Baustelle si registra, quindi, un’improvvisa inversione di rotta, capace come mai prima d’ora di lasciare spazio alle superbe abilità del gruppo di mescolare passato e presente, citazionismo e innovazione.

Federica Romanò