Adattamento cinematografico dell’omonima commedia teatrale di Catherine Léger, Babysitter (2022) – presentato in anteprima mondiale all’ultimo Sundance Film Festival e disponibile in esclusiva su MUBI dal 19 agosto 2022 – diventa per il grande schermo un dramma ironico e tagliente, bizzarro e surrealista sulla liberazione sessuale. Lo spunto narrativo è un video di Cédric in cui importuna una conduttrice in diretta televisiva, diventando improvvisamente virale su YouTube ma al costo di una sospensione dal lavoro. L’uomo si ritrova così a casa, in mezzo alla vita domestica con la moglie Nadine e la figlia neonata. Travolto dalla bufera mediatica e alle prese con la depressione post partum della moglie, Cédric decide di cercare una babysitter per occuparsi della figlia. Viene assunta Amy, una ventiduenne che porterà la coppia ad affrontare i propri problemi e le proprie insicurezze. Nel frattempo, Cèdric inizia con suo fratello Jean-Michel il progetto di scrivere un libro sulla misoginia, una sorta di goffo tentativo di fare ammenda verso le donne

Il tema principale di questa vicenda tragicomica è infatti la misoginia, fil ruoge di tutta la trama che si intreccia nei diversi livelli narrativi e percettivi dei singoli personaggi. La misoginia di Cédric e Jean Michel si manifesta attraverso due visioni ai poli opposti ma altrettanto stereotipate e diffuse: il primo incurante e distaccato da qualsiasi questione femminista, il secondo estremamente conscio e attento alle questioni di genere, ma al punto da risultare fastidioso e artefatto. L’ironia del film risiede proprio in questa contrapposizione esasperata tra i caratteri di Cèdric e Jean Michel, impantanati fino al collo in un dibattito che nessuno dei due riesce veramente a comprendere e gestire. Significativa in questo senso una delle scene finali, in cui, dopo la pubblicazione del libro sulla misoginia, Jean Michel dà un esempio magistrale di mansplaining raccontando a due intervistatrici l’importanza di affrontare la questione femminista.

Sullo sfondo di questa ricerca esasperata di un punto di contatto per far breccia nella sensibilità femminile, i due fratelli non si rendono conto degli effettivi cambiamenti che le loro controparti femminili del film vivono in casa. Ed è solo con l’aiuto di Amy che Nadine riesce a riappropriarsi della propria vita, superando pian piano la depressione post partum ed elaborando la propria frustrazione sessuale. L’evidente incomunicabilità tra personaggi femminili e maschili innesca così un altro livello di ironia, rendendo del tutto ridicola la spasmodica ricerca da parte dei due uomini di comprendere questioni che fondamentalmente non gli appartengono, finendo per rivelarsi in tutta la loro semplicità di uomini cis ed etero: Cédric, da belloccio spavaldo, si ritrova fragile e confuso, mentre Jean-Michel, fiero e certo della propria morale, ha gli stessi bassi interessi di quegli uomini che disprezza con tanto ardore e moralismo.

La misoginia del film emerge anche da piccoli dettagli di vita quotidiana, a denunciare quanto sia una dinamica endemica all’interno della nostra società. Lo sguardo oggettivante di Cédric, ad esempio, è splendidamente rappresentato da una serie di scene in cui il suo punto di vista trasforma le donne in creature bizzarre che sembrano uscire direttamente dall’universo lynchiano, come le gemelle al ristorante, l’insegnante di nuoto, la pediatra e la stessa Amy, sexy e angelica babysitter che cambierà per sempre la sua percezione delle donne. Questo velo di mistero ricopre l’intero film, intensificato dall’ambientazione a tratti cupa e fumosa e dalla colonna sonora inquietante e pungente, simile a quella del film Il giardino delle vergini suicide (1999). I costumi e il trucco dallo stile rètro sembrano arrivare direttamente dagli anni ’90: ogni frame è come un piccolo quadro dalle tonalità vintage, che ricorda un po’ le palette di Wes Anderson e le immagini sognanti del cinema surrealista francese.

Matilde Soleri