Voto

6.5

Il documentarista Matthew Heineman debutta alla regia di un film di finzione con A private war, un biopic che racconta la storia di Marie Colvin, eroica reporter di guerra caduta a Homs nel 2012. Seguendo le tracce di una giornalista d’eccezione, il regista affronta buona parte dei conflitti esplosi dai primi anni 2000 a oggi.

Il racconto si sviluppa come un vero e proprio countdown verso la nota tragedia di Homs: protagonista indiscusso, il personaggio della Colvin, viene costruito attraverso il fine intreccio di vicende di guerra e momenti di vita personale – che risaltano l’ossessione della donna per il proprio lavoro, in bilico tra l’assuefazione (la necessità malata di dover “tornare sul campo”) e l’urgenza dettata da un impiego che esige una dedizione unica. Interpretata da un’intensa (forse troppo) Rosamund Pike, la protagonista assume così una statura importante, si fa portavoce di un mestiere spesso sottovalutato ma fondamentale e allo stesso tempo evita il rischio di trasformarsi in macchietta: ne esce un ritratto fisico e memorabile, delineato non solo nel segno della guerra che era costretta a portare sul volto (la benda da pirata che la contraddistingueva celava una ferita rimediata in Sri Lanka nel 2001), ma anche nella sua contingenza e umanità.

Heineman adotta uno stile di regia votato alla costruzione di primissimi piani intensi, che valorizzano sia i momenti di crisi privata della Colvin, sia le scene di battaglia, costruite in modo che risalti il prezzo umano della guerra, riuscendo in parte a superare una sceneggiatura che propone dialoghi spesso stereotipati o eccessivamente patetici. Affascinante la circolarità del racconto, che si ripiega letteralmente su se stesso e riporta in chiusura lo stralcio di un’intervista alla “vera” Colvin, ricordando che sì, è davvero esistita una donna tanto coraggiosa e dedita al suo lavoro.

A Private War è un biopic dall’impostazione piuttosto classica e compassata ma non privo di eleganza. Se una nota di demerito può essere riconosciuta nella rigidità di alcuni moduli (nello specifico: i dialoghi e l’interpretazione fin troppo fisica della Pike), è importante valorizzare la capacità del film di colpire lo spettatore, portando in primo piano il tema della fragilità dell’uomo in tutti i sensi: come animale fisico, politico ed emotivo.

 

Ambrogio Arienti