1. Addio Claudio

Uno dei più grandi registi italiani degli ultimi quarant’anni, Claudio Caligari, ci ha lasciati lo scorso 26 maggio, poco dopo il termine del montaggio di Non essere cattivo. Il progetto sarà preso in mano e terminato dall’amico e produttore del film Valerio Mastandrea (già protagonista de L’odore della notte). Apprezzatissimo alla 72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (fuori concorso), ha riscontrato molto successo anche in questi giorni al Cinema Italian Style di Los Angeles ed è pronto ad agguantare un meritato Oscar come miglior film straniero.


2. “Ma come, dovemo svorta’ e te piji er gelato?”

Il rapporto tra i due film è evidente fin dalla prima sequenza: Cesare trova Vittorio a mangiare un gelato seduto sulla balaustra del pontile della Vittoria di Ostia e lo rimprovera con la famosissima battuta “Stamo con le pezze ar culo e state a magnà pure il gelato?”. Più crudo, grezzo e “neo-neorealistico” di Non essere cattivo, soprattutto per la scelta di attori non professionisti realmente eroinomani – causando problemi nella reperibilità degli interpreti dato che spesso venivano arrestati durante la notte o erano colti da crisi di astinenza sul set –, la pellicola si concentra su un gruppo di tossicodipendenti capeggiati dal protagonista Cesare, ossessionati dalla necessità di “svorta’’”. Non essere cattivo ha, però, molti elementi in comune con il precedente film, come se ne fosse il sequel: dall’eroina alla coca e poi un distruttivo ritorno-lampo alla brown. Ritroviamo anche molti personaggi e situazioni.
Amore tossico fa, insomma, da ponte tra Pasolini – la morte di un personaggio sul finale è stata girata proprio davanti al monumento dedicato a lui – e il Caligari del 2015, con un pizzico di citazioni da L’uomo dal braccio d’oro di Otto Preminger (1955).


3. La fine della borgata

Non essere cattivo segna la fine della generazione pasolinana, distrutta dall’avvento delle droghe sintetiche e dalla malavita organizzata. Film denso di citazioni pasoliniane più o meno esplicite, le scoviamo nei dialoghi, nelle ambientazioni, nelle inquadrature, nel modo stesso di girare e nella scelta del cast. Ma quella di Caligari non è più la borgata delle scappatelle, delle scommesse alla Accattone e degli spaghi a scrocco, in cui le sofferenze e le brutture, altrettanto presenti, venivano affrontate con purezza e dignità. Quell’universo sottoproletario amato da Pasolini è degenerato: non c’è più nulla da ammirare, si deve solo avere la forza di rifiutarlo e allontanarsene.


4. “Me sa che abbiamo sbajato pianeta”

Il film ci prende a schiaffi nel porci davanti alla nuda e cruda realtà che ci circonda: un mondo spregevole e al contempo lascivo nel donare agli uomini il libero arbitrio. Ma solo in pochi hanno la possibilità – o meglio, le capacità – di scegliere correttamente. I protagonisti rientrano in quest’ultima parte di umanità e scelgono di rifugiarsi negli eccessi, nelle scorciatoie della vita e nella droga, sprofondando nell’universo lisergico dei suoi effetti. Non vi è alcun intento moralista: Non essere cattivo non rimprovera la tendenza autodistruttiva dell’uomo né il degenero sociale che ne consegue, si limita a un minuzioso e distaccato racconto. Perché, come recita tra le righe il titolo, nessuno è cattivo.


5. Chi ha vinto?

Il pungente realismo della pellicola è garantito dalle impeccabili prestazioni degli attori, naturali e controllate allo stesso tempo. I protagonisti Cesare e Vittorio in particolare, interpretati magistralmente da Luca Marinelli (reso famoso da La solitudine dei numeri primi) e la rivelazione Alessandro Borghi (presente anche nel cast di Suburra), sono uomini di cui riusciamo a cogliere anche gli aspetti più intimi e nascosti. Nei loro eloquenti volti riconosciamo i danni fisici e morali provocati dalla droga, come se ne fossero davvero assuefatti. Così legati e vicini, come due fratelli, pronti a condividere tutto, si elevano però a emblema di due tipologie umane molto differenti. Cesare è il prototipo di chi ha tragicamente toccato il fondo e, nonostante le continue sofferenze, non riesce a risalire. Vittorio è semplicemente un uomo fragile, incline all’uso di droghe e alla vita da nullafacente, che ha trovato nell’amore e nella quotidiana stabilità (economica, lavorativa e affettiva) una motivazione per ricominciare.

Benedetta Pini e Federica Romanò