In breve: frammenti di bellezza nella spasmodica rincorsa del tempo fuggitivo

Nell’ossessivo e ossessionante singolo del ’98 Il ballo del potere, Franco Battiato cantava insistentemente di movimenti “associati e dissociati” e “indipendenti dalla testa e dalle gambe”, mentre un groviglio di tastiere e chitarre contribuiva a disegnare coreografie circolari ma spezzate da moti contrastanti e attriti di ogni tipo. Il testo di questo pezzo offre quindi una descrizione ficcante per il contorto balletto Polar Sequences, concepito dallo sfrenato ingegno dell’inglese Wayne McGregor e portato in scena (in parte) al Teatro di Milano lo scorso 21 aprile dai giovanissimi discepoli del Milano Contemporary Ballet assieme a Chronos, concepito da Roberto Altamura e Vittoria Brancadoro.

In Polar Sequences, i ballerini sfrecciano pericolosamente gli uni accanto (e contro) agli altri, mentre i vari elementi dei loro corpi si disconnettono, seguendo logiche indipendenti. La luce è livida e uniforme, non guida lo sguardo dello spettatore, che rimane ipnotizzato dall’esposizione simultanea delle imprevedibili psicologie delle gambe, dei tronchi, delle braccia e delle teste presenti sul palco, sospinte dalla musica ronzante e controllatamente “sporca” di autori come Rioji Ikeda, Merzbow, Amon Tobin e – nel momento più apocalittico – Marilyn Manson. I movimenti sono pertanto evidentemente dissociati, ma anche associati perché un “intelletto superiore” fa sì che le varie schegge impazzite si incastrino con precisione millimetrica.

Chronos invece è costruito su misura per i dieci ballerini (tre ragazzi e sette ragazze): è una meditazione sul tempo perennemente rincorso suddivisa in cinque brevi saggi visuali, cinque duetti  (più introduzione e conclusione corali) che permettono di mettere in luce le varie personalità e i vari stili. La coreografia è di impianto profondamente teatrale: i corpi infatti recitano, superano i vincoli dell’eleganza obbligatoria e i muscoli messi alla prova diventano quantomai espressivi, mentre gli ansimi sostituiscono i dialoghi.

L’impatto emotivo è forte, quasi ci si commuove nel finale, in cui tutti e dieci i ragazzi corrono a rallentatore, sempre più stentatamente, fino ad arrivare – per fare una similitudine cinematografica – alla velocità di un fotogramma al secondo: i loro movimenti disperati sembrano quelli di un ragnetto schiacciato, e ricordano quelli dei “dannati” della maratona di ballo di Non si uccidono così anche i cavalli?.  Questa ricchezza di richiami visivi è un ulteriore segno che la compagnia Milano Contemporary Ballet ha già ben chiaro il modo per ricercare il virtuosismo senza soffocare la capacità di comunicare… e non è un risultato di poco conto.

Andrea Lohengrin Meroni